Disegno: Salvatore De Rosa

I celebri Giardini pensili di Babilonia rappresentano, secondo la letteratura greca e vicino-orientale, una delle sette meraviglie del mondo antico ma ancora oggi resta aperto il dibattito, tra gli studiosi, in merito alla loro reale esistenza

Nabuccodonosor II, committente dei Giardini secondo la tradizione giudaica e tarda

La progettazione di questa imponente opera architettonica è attribuita da alcuni autori antichi, come Filone di Bisanzio (II secolo a.C.), Diodoro Siculo (I secolo a.C.) e Flavio Giuseppe (I secolo d.C.), al re babilonese Nabuccodonosor II. L’elemento che desta perplessità, tuttavia, è che quasi tutte le fonti in questione, ad eccezione del libro del Deuteronomio (4, 27), facente parte dell’Antico Testamento, risalgono ad un’epoca successiva rispetto a quella in cui governò il sovrano (VI secolo a.C.). D’altra parte, ciò che ha sempre indotto gli storici ad avallare quantomeno l’idea di una possibile esistenza è il rinomato sfarzo che caratterizzava la capitale del regno babilonese.

È lo scrittore Flavio Giuseppe, in un passo delle sue Antichità Giudaiche, a descriverci nel dettaglio i Giardini, riprendendo un precedente resoconto scritto da un sacerdote di nome Berosso intorno al 323 a.C., anno della morte di Alessandro Magno avvenuta proprio nella capitale vicino-orientale.  I blocchi che formavano il perimetro della struttura vengono paragonati a “montagne” mentre all’interno i visitatori potevano apprezzare la presenza di “ogni specie di alberi”. La scelta di arricchire particolarmente la vegetazione dei Giardini va attribuita, secondo Flavio Giuseppe, ad Amytis, moglie di Nabuccodonosor II, la quale, essendo originaria della Media, era abituata a passeggiare nei cosiddetti “paradisi pensili”.

Un diverso committente proposto dalla tradizione greca

Se la Bibbia e Flavio Giuseppe, che sono fonti appartenenti alla tradizione giudaica, riferiscono la costruzione dei Giardini pensili a Nabuccodonosor II, alcune fonti greche, come il celebre Erodoto, riportano invece come committente una certa Semiramide. Tale nome, secondo molti studiosi, andrebbe interpretato come storpiatura di Samuramat, appellativo con cui veniva chiamata la moglie del sovrano Shamashi – Adad V, nonché madre del re Adadnirari, il quale fu da lei sostituito, per circa 5 anni, nell’amministrazione del suo regno quando era ancora infante.

Unendo i dati ricavabili da tutte le fonti, sia letterarie che epigrafiche, che li menzionano possiamo avere un’idea abbastanza verosimile delle dimensioni dei Giardini pensili di Babilonia. Estesi per circa 3500 metri quadri, ciascuna delle cinque terrazze in cui si articolavano era sostenuta da un colonnato i cui materiali costitutivi erano mattoni, gesso e bitume. Per provvedere, invece, alla cura della rigogliosa vegetazione presente gli architetti progettisti avevano predisposto dispositivi che, proprio come le moderne pompe, dovevano raccogliere e diffondere le acque provenienti dal fiume Eufrate.

In ultima analisi, in merito all’esatta collocazione topografica dei Giardini all’interno di Babilonia, non vi è un’unica tesi condivisa dagli archeologi. Infatti, secondo Robert Koldewey, che condusse alcuni scavi tra fine Ottocento ed inizi Novecento, i cosiddetti ‘paradisi’ dovevano trovarsi nell’angolo Nord-Est del Palazzo Meridionale (quello in cui sarebbe morto Alessandro Magno), mentre secondo D.J. Wiseman, in virtù di una maggiore vicinanza al corso dell’Eufrate, la loro corretta ubicazione dovrebbe porsi nella zona occidentale della città.

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