L’interno della chiesa di Santa Maria del Parto con le tre navate – Foto: Stefania Rega

Un giro tra chiese, anfiteatri e ville ottocentesche alla scoperta delle bellezze e della storia di questo borgo del Lazio.

Per chi volesse visitare piccoli centri, oggi denominati borghi, per scoprire tesori d’Italia poco conosciuti ma di grande valore, la scelta è ampia. La nostra penisola pullula di cittadine antiche che nel corso dei secoli si sono arricchite di testimonianze storico-artistiche e sono riuscite nel contempo a preservare fino ad oggi una loro originaria identità. La meritoria associazione I borghi più belli d’Italia ne ha censiti oltre 300 in poco più di venti anni di attività, illustrandone dettagliatamente non solo le caratteristiche storico-artistiche ma anche culinarie, di tradizioni e attività. Tra di essi troviamo il borgo di Sutri, in provincia di Viterbo, nel cuore dell’antica terra degli Etruschi, la Tuscia.

La città vanta origini antichissime, addirittura precedenti alla vicina Roma. Esiste un mito che attribuisce la sua fondazione al dio Saturno, da cui prenderebbe anche il nome. Divenne tuttavia romana nel 310 a.C., poi longobarda. E fu proprio un re longobardo, Liutprando, a donarla al papa Gregorio II nel 728, inaugurando così il potere temporale della chiesa di Roma. Lungo tutto il Medioevo la città di Sutri è stata un luogo di passaggio per migliaia di fedeli in pellegrinaggio verso la capitale della cristianità, oltre che una tappa obbligata per i soldati che si recavano alla Terrasanta. Solo in epoca rinascimentale il suo ruolo andò lentamente dissolvendosi, soprattutto in ragione del potenziamento della Strada Cimina a discapito della Cassia che la costeggia.

Sutri si erge in maniera scenografica sopra uno sperone di roccia tufacea. Per entrare nel centro storico è necessario inerpicarsi lungo una salita piuttosto ripida, ma ampia e costeggiata da alberi ombrosi. L’abitato ha preservato un aspetto medievale anche se in buona misura modernizzato da interventi più o meno evidenti. La piazza del comune conserva una grande fontana a quattro vasche davanti ad un arco di epoca romana con campanile e orologio. Tra le attrazioni del borgo vi sono l’antico lavatoio, la Cattedrale di Santa Maria Assunta, un edificio risalente al XII secolo e consacrato al culto da Papa Innocenzo III nel 1207, e la chiesa di San Francesco, fondata dallo stesso santo di Assisi nel 1222.

Ma è oltre le mura del borgo, ai piedi del blocco tufaceo che lo sostiene, che si trovano i veri tesori di Sutri.

Tornati sulla Cassia, basta attraversarla per immergersi nel Parco dell’Antichissima Sutri. Si tratta di un Parco giovane, istituito solo nel 1988, e di piccole dimensioni, appena 7 ettari. Garantisce la protezione di numerose specie animali e vegetali. È presente un bosco di lecci, ma anche zone che ospitano pioppi, faggi, canneti e una elevatissima presenza di molte varietà di funghi, di cui la cucina sutrina approfitta a mani basse. Anche la presenza faunistica è notevole: istrici, volpi, donnole, martore e faine.

E poiché l’uomo ha vissuto in questa area fin dall’età del bronzo, nel Parco troviamo testimonianze preziose della sua presenza. A partire dalla Necropoli Monumentale, un’area che i Romani dedicarono all’architettura funeraria già dal I secolo a.C. e fino al IV d.C. Ad oggi, sono visibili 64 tombe scavate nella parete tufacea a diversi livelli. Sono rintracciabili i resti sia di riti di inumazione, vale a dire di sepoltura del defunto, sia di incinerazione, vale a dire di combustione della salma e successiva conservazione delle ceneri.

Vista dell’anfiteatro dall’alto – Foto: Stefania Rega

Oltre la necropoli è oggi finalmente visitabile l’anfiteatro, uno dei pochissimi al mondo scavato interamente nel tufo, senza alcuna muratura di sostegno. Poiché non esiste alcuna documentazione che lo riguardi, la datazione si basa solo sulla sua struttura che, per l’evidente semplicità, lo colloca proprio a ridosso dell’era cristiana. La capienza dell’anfiteatro si aggirava intorno ai 7.000 spettatori, i cui posti erano divisi in base alla classe sociale di appartenenza. Quindi, nella ima cavea, più vicina al podio, sedevano le persone di rango più elevato, nella media cavea il ceto medio e la plebe nella summa cavea. Dopo il disfacimento dell’impero Romano e le successive invasioni dei popoli cosiddetti “barbari”, il sito fu abbandonato a se stesso e s’interrò progressivamente, consentendo la crescita di una fitta vegetazione che nascose per secoli la maggior parte della struttura.  

Procedendo verso nord lungo il percorso del Parco si incontra la splendida Chiesa della Madonna del parto. È un esempio lampante di stratificazione dei luoghi di culto. Sorge, infatti, su un mitreo romano del III secolo d.C. che a sua volta sorgeva sopra un sepolcro etrusco. Tuttavia, la chiesa odierna conserva molte delle caratteristiche originarie, non solo nell’aspetto esterno che è rimasto praticamente intatto, vale a dire anonimo. Dall’esterno la presenza di una chiesa non è minimamente visibile e solo dal 2010, grazie all’intervento di un privato statunitense di origini sutrine, è stata sistemata una porta di legno a proteggerne l’accesso – fino ad allora vi era solo un grande buco nel tufo. L’elemento più caratterizzante di questa chiesa è il fatto di essere totalmente scavata nel tufo, come l’anfiteatro. Non esistono murature, non esistono finestre: la chiesa è un respiro nel ventre della terra.

Gli affreschi nel vestibolo della chiesa di Santa Maria del Parto – Foto: Stefania Rega

All’interno, il primo ambiente mostra le tracce delle antiche sepolture etrusche e un vano aperto che dà nella chiesa vera e propria. Ma già in questo primo accesso il sito lascia i visitatori a bocca aperta. Una delle pareti conserva ancora in ottime condizioni un affresco ascrivibile al XIV secolo raffigurante da un lato la Madonna col Bambino tra San Giacomo maggiore e San Michele, quindi la Teoria dei pellegrini e la leggenda della fondazione del santuario di San Michele sul monte Gargano, infine, sulla destra, San Cristoforo con Gesù Bambino. Una volta entrati nella chiesa si viene accolti da due file di colonne che formano un ambiente rettangolare a tre navate. In fondo, l’abside accoglie un affresco dedicato alla Natività. Tutte le pareti un tempo erano affrescate, e oggi si può solo immaginare la magnificenza del luogo nel momento del suo splendore.

Come si diceva, la chiesa sorge su un mitreo, vale a dire un luogo dedicato al culto del dio Mitra, divinità di origine asiatica che ebbe una grande diffusione nell’impero romano anche in concomitanza con il cristianesimo. Come in tutti i mitrei, anche in quello di Sutri nell’abside era posta una raffigurazione della divinità con berretto frigio nell’atto di uccidere il toro i cui testicoli erano attaccati da uno scorpione. E come in tutti i mitrei anche a Sutri veniva svolto il tipico rito, l’uccisione del toro. È tuttora visibile la vasca centrale in cui si raccoglieva il sangue e un collegamento con una fonte d’acqua che veniva utilizzata per la sua pulizia al termine del cerimoniale/sacrificio.

Intorno al IV secolo, in concomitanza con la scomparsa del culto pagano, il mitreo divenne un luogo di culto cristiano. In quella occasione la raffigurazione di Mitra nell’atto di sgozzare il toro, la tauroctonia, venne staccata dalla parete di fondo e sostituita dall’attuale riquadro con la Natività. La lastra di tufo col rilievo originario della tauroctonia si conserva a più di dieci chilometri da Sutri, murata all’esterno di un casolare situato lungo la via Cassia, in frazione “La Botte”.

La Natività nell’abside – Foto: Stefania Rega

Una volta usciti dall’antico mitreo, la visita del Parco dell’antichissima Sutri può continuare con il Bosco Sacro, una lecceta secolare che oggi non solo consente di fare una suggestiva passeggiata tra gli alberi frondosi ma anche di godere di una magnifica vista dall’alto sull’anfiteatro. Adiacente al bosco sorge la villa Savorelli, dimora di un’antica famiglia di Forlì entrata in possesso dell’edifico nel XVIII secolo. Furono proprio i discendenti dei Savorelli a dare l’avvio allo scavo dell’anfiteatro rimasto interrato per quasi due millenni. Nel 1835 il marchese Alessandro Savorelli diede inizio agli scavi che terminarono solo un secolo più tardi e che, pur tra mille errori e difficoltà, oggi ci permettono di ammirare questo prezioso sito.

Villa Savorelli – Foto: Stefania Rega

Per secoli, Sutri è stato un luogo presso cui sostare avvicinandosi o allontanandosi da Roma, per riposare e per rifocillarsi. Oggi è una meta che si raggiunge per ammirare il lavoro di abili mani di artista, di architetti e costruttori, e per fare un suggestivo viaggio nel tempo.

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