I trulli costituiscono una delle immagini più belle e caratteristiche della Puglia. Riconosciuti nel loro pregio dalla legislazione nazionale e regionale nonché dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità, tali edifici sono diffusi nell’ambito di un comprensorio, ovvero la valla d’Itria, che si sviluppa fra i comuni di Alberobello, Locorotondo, Cisternino e Martina Franca

Caratteristiche tecniche e funzionalità dei trulli

Da un punto di vista tecnico-edilizio, i trulli si presentano estremamente semplici. Il materiale utilizzato per l’alzato, difatti, è la pietra calcarea simile al tipo carsico, estratta dai banchi rocciosi che si estendono tra la valle d’Itria e l’altopiano delle Murge.

Prive di fondamenta e caratterizzate da una pianta circolare o talvolta ellissoidale, le tipiche costruzioni pugliesi hanno una copertura conica non centinata, che culmina a sua volta in un pinnacolo recante un simbolo scolpito. La messa in opera dei materiali usati avviene sempre a secco, cioè senza malte o altri leganti, e le murature e la volta sono realizzate a sacco, ovvero constano di due paramenti e di un riempimento centrale. Il paramento interno è formato da lastre calcaree dette comunemente chianche, mentre quello esterno ne presenta altre simili ma di pezzatura più piccola e per questo denominate chiancarelle; lo strato intermedio della muratura è composto, invece, da un misto di pietrisco, cocci, paglia ed altri prodotti di scarto. Si determina, così, una struttura non solo molto solida ma anche dotata di un’ottima inerzia termica: infatti, il trullo, nella stagione invernale, trattiene molto calore, mentre d’estate conserva il “fresco” accumulato per tutto il periodo rigido, cedendolo a poco a poco fino alla seconda metà di agosto, quando, cioè, si avverte più calore al suo interno che all’esterno.

Veduta della valle d’Itria – Foto: Angelo Zito

Nascendo per ospitare il cozzaro (nome con cui nel gergo locale viene indicato il contadino) con la sua famiglia ed i relativi attrezzi del mestiere, il trullo non presenta una grande estensione. I primi esemplari, infatti, erano di tipo monocellulare e solo intorno all’Ottocento si è avuto lo sviluppo di quelli più complessi, con più cellule aggregate fra loro in veri e propri casolari di forma rettangolare o quadrata. Colpisce, nelle casedde più antiche ancora oggi superstiti (casedda è il nome dialettale attribuito ai trulli soprattutto nel territorio di Martina Franca e Locorotondo), l’assenza di grandi aperture, eccezion fatta per la porta d’ingresso e la canna fumaria, così come la presenza di piccole nicchie presso le pareti, nelle quali venivano posti i giacigli per i figli del proprietario. Ancora oggi è molto difficile trovare trulli a più piani mentre più frequentemente, al fine di un migliore utilizzo dello spazio disponibile, è possibile riscontrare la presenza di soppalchi. Nei tempi più remoti, l’illuminazione costituiva un grave problema, proprio in virtù della scarsezza di finestre ed altri fonti di luce. Pertanto, prima dell’avvento dell’energia elettrica, vi era la consuetudine di collocare grandi specchiere al di sopra di mobili, in corrispondenza della porta d’ingresso o di un’altra apertura più o meno grande. Pur distribuendosi principalmente in un ambito rurale, i trulli non vengono utilizzati soltanto in funzione domestica e privata. Infatti, non mancano nel territorio della Valle d’Itria casedde destinate alla produzione manifatturiera, artigianale, alimentare, oppure ad una vera e propria fruizione pubblica, come nel caso di chiese botteghe ed attività commerciali.

‘Casedda’ pluricellulare – Foto: Angelo Zito

In merito alla manutenzione ed al restauro di queste tipiche costruzioni, non esistono specifiche tecniche. Essendo molto facili da costruire, una scelta tuttora molto ricorrente è di “buttarle giù” anziché applicare tutta una serie di correttivi che potrebbero rivelarsi costosi ed inutili. In questa prospettiva trova, dunque, logica spiegazione la mancanza di trulli risalenti ad un’epoca precedente il XVI secolo così come la loro pressoché totale assenza nella storia degli scavi archeologici condotti in Valle d’Itria (il trullo più antico sinora documentato, di tipo monocellulare e senza finestre, risale al 1559 ed è situato in contrada Marziolla, nei pressi di Alberobello).  

Tali dati di fatto vengono altresì supportati da un’ulteriore considerazione: molte di queste abitazioni, in periodo medievale, erano costruite abusivamente, senza il consenso del proprietario terriero, al fine di non pagare una particolare tassa sugli immobili. Pertanto i cozzari, non appena venivano a conoscenza dell’imminente arrivo del padrone, erano soliti abbattere rapidamente il loro trullo riducendolo ad un ammasso di pietre sparse, consapevoli del fatto che la successiva ricostruzione non sarebbe stata affatto onerosa.

Un vasto repertorio di simboli

Oggetto di studio e di interesse sono i simboli che si ritrovano sia in forma plastica, sulla sommità dei pinnacoli, sia disegnati con pennellate di calce sulla superficie esterna delle cupolette. I primi non presentano una grande varietà a livello tipologico: si può dire che è quasi sempre presente, oltre ad una sorta di croce, una sfera poggiante sulla parte terminale del pinnacolo, molto simile ad un calice. Si tratterebbe della rappresentazione del Calice Eucaristico, motivo che allude alla fede cattolica degli abitanti della casedda, così come, più in senso lato, di gran parte della comunità rurale della Valle d’Itria. Diverso e sicuramente più ampio è il repertorio dei simboli dipinti a calce. Elementi quali croci, ostie e calici rimandano anche in questo caso ad una dimensione di fede cristiana. Sempre ad un contesto religioso sono riconducibili due effigi piuttosto ricorrenti nelle campagne del Martinese e corrispondenti a due lettere dell’antica lingua ebraica: il Taw, l’ultima lettera dell’alfabeto che simboleggia il Messia, e l’Heth, che al contempo richiama l’otto, ovvero il numero di lettere formanti l’aggettivo xpeistos, riferito all’ “unto” che è Gesù Cristo.

Il simbolo del ‘Taw’ sulle cupolette di 2 trulli – Foto Angelo Zito

Le immagini di animali come il lupo e l’aquila apparterrebbero ad un ambito ideologico di origine pagana piuttosto remota. Altre ancora, fondate sulla superstizione, hanno una finalità apotropaica, come ad esempio le forbici, che indicano il tener lontano chi “taglia”, in pratica chi, malignando, nutre invidia verso il padrone di casa e la sua famiglia. Infine, ad una funzione semplicemente ornamentale, si ricollegano fiori e cuori intrecciati (questi ultimi sottolineano la solidità e la bellezza dell’amore coniugale) mentre una o due lettere dell’alfabeto indicano rispettivamente il nome e il cognome del proprietario. Se falci e zappe si riferiscono al lavoro agricolo, alcune immagini ironiche, del tipo a maschera, rimandano, invece, a specifici fatti e personaggi locali.

Ipotesi sulla costruzione dei primi esemplari

È molto difficile definire in quale momento storico potrebbero essere stati costruiti i primi trulli. Allo stato attuale l’ipotesi più verosimile li colloca in età protostorica. È pur vero che il nome casella, con il quale vengono definiti tali edifici negli atti curiali ufficiali, viene riportato per la prima volta soltanto nel 917, ma ciò non impedisce di presupporre un’origine del termine più antica rispetto a tale data così come dell’oggetto a cui esso fa riferimento. Molto utili, in questo discorso, sono i risultati di alcune campagne di ricognizione effettuate nel secolo scorso in Valle d’Itria. Nonostante le grandi trasformazioni che questo paesaggio ha subito soprattutto durante il XIX secolo (scassi, dissodamenti, messa a coltura di vigneti e altre specie arboricole), sono stati portati alla luce dagli scopritori numerosi ed interessanti reperti: circa una decina di cimeli neolitici, frecce e stoviglie in terracotta del periodo megalitico nell’area di Alberobello; tazze, lucerne, utensili in selce e frammenti di bucchero sull’altopiano delle Murge; dodici scuri di rame dell’Età del Bronzo, così come fondazioni di capanne in pietra dello stesso periodo, nella campagna intorno a Martina Franca. In sostanza tali indizi permettono di ipotizzare un popolamento di tutto questo comprensorio a partire già dal Neolitico (6000 a.C. c.a.). Nell’ambito di questo processo e nell’ottica di una graduale evoluzione architettonica, è lecito supporre che, prima ancora delle capanne munite di fondamenta, esistessero già costruzioni molto più semplici che non le avessero, proprio come le casedde. Tutte le altre congetture, come quella di un’origine in età medievale o addirittura moderna, ossia verso la fine del 1600 in concomitanza con la fondazione di Alberobello, hanno poca attendibilità scientifica perché basate su elementi inconsistenti e vacui. 

Per quanto riguarda possibili confronti fra i trulli ed altre antiche strutture architettoniche, l’attenzione può essere rivolta alle specchie del vicino Salento. Costruite dai Messapi in qualità di tumuli funerari oppure, più verosimilmente, come postazioni militari, esse, in realtà, datandosi a partire dal II millennio a.C., dovrebbero essere più recenti rispetto alle casedde della Valle d’Itria.

Pur avendo, da una parte, un modello edilizio estinto (quello delle specchie) ed un altro, invece, ancora oggi esistente (quello dei trulli) è possibile quantomeno riconoscere caratteristiche comuni ad entrambi: la pianta circolare che, nel caso delle specchie, può diventare a volte ovoidale od ellissoidale; la copertura curva, a cupola nel caso dei trulli, a dosso non del tutto regolarizzato in quello delle strutture messapiche; l’assenza di malte o di altri leganti, ad eccezione della terra che talvolta viene usata nell’amalgama di pietre formante l’alzato delle specchie.

‘Casedda’, il Calice Eucaristico – Foto Angelo Zito

Un patrimonio da difendere e consegnare alle nuove generazioni…

I trulli rappresentano un patrimonio culturale della valle d’Itria e della Puglia da difendere e da tramandare alle future generazioni. Per quanto esistano ancora oggi, le figure dei caseddari sono in diminuzione consistente in quanto i giovani tendono a lasciare sempre più spesso questi territori e ad emigrare altrove per cercare nuove opportunità. Inoltre, la popolazione delle campagne non è più ai livelli di densità risalenti alla metà del secolo scorso: pertanto, con la progressiva tendenza allo spostamento verso i medi o grandi centri urbani, il trullo sta perdendo la sua originaria connotazione abitativa per acquisire invece un ruolo di mera attrattiva turistica nel territorio.

“Per continuare a far vivere il trullo, bisogna viverci dentro e lavorare la terra che lo circonda”. Emblematico è il messaggio lanciato da un contadino abitante ancora oggi nelle campagne vicine a Martina Franca al quale ci si augura che facciano seguito politiche sempre più mirate alla valorizzazione e al rilancio dell’economia rurale pugliese. 

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