Anton Domenico Gabbiani, ‘Ratto di Ganimede’ (1700) – Olio su tela – Gallerie degli Uffizi, Firenze – Foto: Giorgio Manusakis

I miti che spiegano le costellazioni dell’Aquila e dell’Acquario

Non credo negli oroscopi, ma essendo un appassionato di mitologia non posso fare a meno di collegare le costellazioni ai miti da cui hanno avuto origine e visto che per gli astrologi dal 21 gennaio siamo nel segno dell’Acquario, ecco che la memoria mi riporta a Ganimede. Perché proprio lui? Perché, secondo il mito greco, da lui ha origine la costellazione dell’Acquario.

Ma partiamo dall’inizio. Ganimede era figlio del re Troo, che diede il suo nome alla famosa città di Troia. La bellezza del giovane era tale che perfino Zeus se ne invaghì, quindi si trasformò in aquila e sorvolò la pianura di Troia alla ricerca dell’amato Ganimede e, una volta trovato, lo rapì portandolo sull’Olimpo e facendone il coppiere degli dèi (Omero, Iliade, XX 231-5; Apollodoro, II 12 2; Virgilio, Eneide, V 252 e sgg; Ovidio, Metamorfosi, X 155 e sgg.). Tuttavia ricompensò il re Troo per avergli rapito il figlio. Inviò Hermes, il messaggero degli dèi, con due doni da parte sua: un ramo di vite d’oro creato da Efesto e due cavalli magnifici; inoltre disse a Hermes di rassicurarlo in quanto il figlio sarebbe diventato immortale e per sempre giovane, due cose che non sempre coincidono, come sappiamo da altri miti. (Omero, Iliade, V 266; Inno omerico ad Afrodite 202-17; Apollodoro, II 5 9; Pausania, V 24 1).

Ganimede con aquila (II sec. d.C. copia da originale greco del IV sec. a.C.) – Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) – Foto: Giorgio Manusakis

Com’è noto, i miti hanno spesso diverse versioni e quello di Zeus e Ganimede non fa eccezione. Secondo un’altra versione, infatti, fu la dea dell’aurora, Eos, la prima a rapire Ganimede e farlo suo amante, solo in seguito Zeus glielo sottrasse portandolo sull’Olimpo. Comunque andarono le cose ciò che è certo è che la gelosa moglie del padre degli dèi, Era, si arrabbiò moltissimo per ciò che aveva fatto il consorte e ritenne offensivo che questi avesse dato al giovane il ruolo di coppiere degli dèi che fino a quel momento era stato della figlia Ebe. Ma la sua rabbia non fece altro che irritare Zeus il quale, dopo aver donato a Ganimede l’immortalità e la giovinezza, ne pose l’immagine nel cielo facendone la costellazione dell’Acquario. (Virgilio, Eneide, I 32 con scolio; Igino, Fabula 224; Virgilio, Georgiche III 304).

La trasformazione di Zeus in aquila per rapire Ganimede, di cui narra la mitologia greca, spiega la vicinanza della costellazione dell’Acquario a quella dell’Aquila. Ma in altre civiltà antiche cosa raccontavano?

Ganimede (62-79 d.C.) – Affresco da Pompei, Casa di Meleagro – Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) – Foto: Giorgio Manusakis

Nella mitologia sumera si narra che la moglie del grande re Etana fu resa sterile dagli dèi per punire il sovrano che aveva trascurato il regno e i suoi sudditi. Il re, che voleva un erede a qualsiasi costo, cercò di farsi perdonare con offerte, preghiere e sacrifici, ma senza esito. Infine pregò il dio del Sole, Shamash, il quale gli disse che se fosse riuscito a liberare un’aquila (simbolo del Sole e del potere) tenuta prigioniera in fondo a un pozzo da un serpente (simbolo delle acque e delle tenebre), il re degli uccelli lo avrebbe portato in cielo dove avrebbe trovato la pianta della fertilità e del parto. Etana riuscì nell’impresa e iniziò a volare cavalcando l’aquila, ma ad un certo punto, stremato, lasciò la presa e cadde nell’oceano insieme al rapace ed entrambi morirono. Ma anche in questo caso c’è un’altra versione del mito. Essa narra che l’uccello portò il re in cielo fino a raggiungere la dea Inanna-Ishtar a cui il sovrano raccontò la sua storia. La divinità, commossa, gli concesse la pianta della fertilità e gli disse di mangiarla insieme alla moglie. Etana fece quanto suggeritogli e così la regina gli diede il desiderato erede cui diedero nome Balikhu. Ecco svelato il motivo per cui l’aquila si trova nel cielo sotto forma di costellazione.

Bertel Thorvaldsen, ‘Ganimede abbevera l’aquila’ (1817) – Gesso – Collezioni dell’Accademia Nazionale di San Luca, Roma – Foto: Giorgio Manusakis

Un altro mito ancora, questa volta arabo, “…vede nelle stelle della costellazione dell’Aquila e della Lira due amanti separati dal bianco fiume della via Lattea; un tormento amoroso che solo una volta all’anno si scioglie in un abbraccio, quando alcune gazze volano l’una dietro l’altra creando tra le due sponde del fiume celeste un esile ponte che permette ai due amanti di incontrarsi.” (Margherita Hack & Viviano Domenici – Notte di stelle). Ora, quando nel cielo guarderete le costellazioni dell’Aquila e dell’Acquario, ricorderete le loro storie e le stelle vi sembreranno più…vive!

Bartolomeo Ammannati, ‘Ganimede’ (1550 ca.) – Bronzo – Museo Nazionale del Bargello, Firenze – Foto: Giorgio Manusakis

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