Le ‘Danzatrici di Ruvo’ – Foto: Giorgio Manusakis

Le lastre delle cosiddette Danzatrici di Ruvo rappresentano senz’altro una delle opere più affascinanti della sezione Magna Grecia del Mann. Scopriamo insieme la storia, le caratteristiche stilistiche ed il significato di queste antiche e stupende pitture, tra i più importanti documenti di arte della Megale Hellàs

Dal rinvenimento alla musealizzazione

La scoperta delle Danzatrici avvenne nel 1833 a Ruvo di Puglia, cittadina della provincia di Bari. Essa si sviluppa al di sopra di Rhyps, insediamento fondato ed abitato dai Peuceti, popolazione italica dell’antica Apulia. La sua prosperità, sulla base dei dati sinora restituiti dall’archeologia, è collocabile perlopiù in età classica, tra V e IV secolo a.C., e si giustificherebbe in virtù di una fitta rete di scambi commerciali in cui era inserita e che includeva varie città della Grecia, tra cui Atene.

La tomba delle Danzatrici fu rinvenuta lungo una delle strade principali di Ruvo, cioè il corso Cotugno, che oggi è chiamato via Cappuccini. Dopo una prima documentazione sulla sepoltura, contraddistinta da una struttura rettangolare a semi-camera, fu eseguita nel 1835 una riproduzione ad acquerello delle sue lastre dipinte, oggi conservata presso il Seminario Regionale di Molfetta. Nel 1838, si procedette al distacco delle pitture ed alla vendita di 11 frammenti, pertinenti a 7 blocchi, da parte del sacerdote M. Ficco all’allora Museo Borbonico di Napoli, corrispondente all’odierno Mann, dove tuttora si trovano. Nonostante i danni verificatisi con l’asportazione ed il trasporto e gli errori commessi nei decenni scorsi durante operazioni di restauro, il ciclo figurativo risulta una delle più belle ed importanti opere d’arte della Magna Grecia, ascrivibile al passaggio dal V al IV secolo a.C.

Il tema della danza ed i suoi riferimenti alla cultura greca

Il significato di questo corteo di donne danzanti può essere colto in un passo delle Vite parallele di Plutarco in cui si parla dell’eroe ateniese Teseo: “Nel viaggio di ritorno da Creta Teseo si fermò a Delo. Dopo aver sacrificato al dio e offerto come dono votivo l’immagine di Afrodite che aveva ricevuto da Arianna (la sua compagna), eseguì insieme con i ragazzi una danza che dicono ancora sia in uso presso quelli di Delo e che riproduce i giri, i passaggi del Labirinto”. Teseo, secondo la mitologia greca, fu infatti l’eroe che, uccidendo il famoso Minotauro, non solo liberò i fanciulli ateniesi prigionieri nel suo Palazzo ma pose fine alla sottomissione della città dell’Attica a Creta. Per celebrare questa liberazione tanto attesa, dunque, l’eroe ateniese, insieme ai suoi giovani compagni di viaggio, inventò questa gioiosa danza che, nel caso della tomba di Ruvo, può alludere al desiderio di rinascita oppure all’entusiasmo per il passaggio del defunto qui inumato alla nuova vita dell’oltretomba. Quest’ultima interpretazione potrebbe essere supportata da due dettagli, ossia le mani intrecciate delle donne e l’alternanza nell’orientamento dei loro profili.

Da un punto di vista tecnico, gli affreschi della sepoltura sono applicati su una sottile preparazione a base di calce che funge al contempo da sfondo all’intero corteo. Le 27 donne raffigurate indossano un mantello al di sopra di un chitone, grandi orecchini e bende sopra la fronte. A contraddistinguere il loro abbigliamento è altresì la varietà dei colori scelti dal pittore: dal rosso, che caratterizza anche le labbra facendole così risaltare sull’incarnato pallido, all’azzurro ed al giallo. Il nero, invece, oltre a definire i tratti somatici delle donne, in alcuni casi molto grossolani e dunque realistici, si ritrova, assieme al rosso, anche nelle fasce di delimitazione del choros, di cui fanno parte un corifeo ed un citaredo. Tanto gli orecchini quanto i calzari a punta esprimono chiaramente una condizione sociale agiata, la stessa che doveva connotare il defunto della tomba, amante, sicuramente, della cultura e dell’arte greca. D’altra parte, il tema della danza è stato attestato dall’archeologia anche in diverse località elleniche, come Samotracia e Salamina, nelle quali si tenevano danze a braccia incrociate (stavrotoi), ed a Zante, isola in cui ancora oggi si pratica un rituale chiamato, appunto, “danza di Teseo” o anche “danza delle gru” per la somiglianza con alcune mosse compiute da tali animali durante l’accoppiamento.

Le ‘Danzatrici di Ruvo’ – Foto: Giorgio Manusakis

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