Tazza Farnese, particolare dell’interno – Foto: Giorgio Manusakis
Vi raccontiamo la storia del più grande e misterioso cammeo al mondo
La Tazza Farnese è il più grande e, probabilmente, il più importante cammeo dell’antichità, e sia la sua storia che le scene su essa raffigurate sono in gran parte avvolte dal mistero. In una puntata di Superquark anche Alberto Angela, parlando dei tesori del MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), si sofferma in particolare sulla bellezza, i misteri e l’unicità di questo stupendo cammeo.
Iniziamo col descriverlo: la sua forma è quella della phiale, ovvero la coppa usata per le libagioni, ha un diametro di 20 cm circa ed è incisa in un unico pezzo di agata sardonica a quattro strati, decorata a rilievo su ambedue le facce. L’unicità del reperto ne rende complessa la datazione secondo le usuali procedure; alcune teorie collocano la lavorazione dell’oggetto al 37-34 a.C., ma ipotesi più accreditate ritengono sia stata realizzata nel II sec.a.C. È certo che la Tazza Farnese sia stata prodotta ad Alessandria per avere una funzione rituale durante le cerimonie dei sovrani d’Egitto. Si ritiene sia stata portata a Roma da Ottaviano nel 31 a.C., quando conquistò l’Egitto, e sia poi passata a far parte del tesoro di Bisanzio a seguito della caduta dell’impero romano, quindi sarebbe tornata in Italia nel 1204 con la presa di Costantinopoli. La prima traccia storica è datata 1239, quando Federico II di Svevia la acquistò e la inserì nel suo tesoro che, però, andò disperso nel 1253. Successivamente, verso il 1430, si pensa che il cammeo passò alla corte persiana di Samarcanda o Herat, dato che un pittore locale, Mohammed al-Khayyam, la riprodusse nel disegno ora conservato presso la Staatsbibliotheck di Berlino, quindi la ritroviamo di nuovo in Italia nel 1458, precisamente a Napoli, dove è inserita nella collezione di Alfonso V d’Aragona, e da lì poi a Firenze tra gli averi dell’arcivescovo della città, il Cardinale Ludovico Trevisan. Alla morte di quest’ultimo il prezioso cimelio passò nelle mani di Papa Paolo II Barbo, quindi al suo successore, Sisto IV, per poi essere acquistata, nel 1471, da Lorenzo il Magnifico e, infine, entra a far parte della collezione Farnese quando Margherita d’Austria, vedova di Alessandro de’ Medici, sposa Ottavio Farnese.
Tazza Farnese, parte frontale – Foto: Giorgio Manusakis
Ma se la sua storia è un complicato e, in parte, misterioso intreccio, ancor più misteriose sono le raffigurazioni su di essa incise. Non è ancora chiaro il significato della scena raffigurata all’interno, dove è stata riprodotta una moltitudine di divinità e personificazioni del pantheon egiziano, assimilati, com’era tipico dell’età ellenistica, alle maggiori divinità greche e, in particolare, a quelle del culto eleusino. Tra di esse si ritiene ci siano Osiride, assimilato a Ade, e Horus, assimilato a Trittolemo, mentre al centro è riprodotta una sfinge su cui è seduta una figura femminile, probabilmente Iside assimilata a Demetra. L’intera scena sarebbe, però, un’allegoria che celebra la dinastia dei Tolomei: in essa, a seconda della datazione che le viene attribuita, i vari studiosi riconoscono le figure di Tolomeo VI, Tolomeo V o Tolomeo Alessandro e quelle di Cleopatra III o Cleopatra I, inoltre si trovano raffigurate le personificazioni del Nilo e delle stagioni. All’esterno è invece riprodotta, con probabile allusione alla funzione sacra del cammeo, una maschera apotropaica di Gorgone, forse Medusa. Come detto, le tre divinità greche, Ade, Trittolemo e Demetra, fanno tutte parte del culto legato all’antica città di Eleusi, dove venivano celebrati i noti misteri eleusini, di cui potete leggere la mitologia completa cliccando su questo link http://www.miti3000.it/mito/luoghi/elefsina.htm
Conoscere i personaggi mitologici raffigurati sulla Tazza Farnese aiuta a comprendere meglio, per quanto possibile, il senso della scena rappresentata. Come avete letto sopra, numerosi sono i miti collegati a questo stupendo reperto. Iside, in questo caso assimilata alla dea greca Demetra, era la sposa di Osiride e madre di Horus, coi quali forma una triade suprema. Il suo mito è complesso e ha numerosissime versioni. Iside è principalmente, nella mitologia egiziana, la massima divinità della natura e della fecondità, la madre di tutte le cose, la dea universale, adorata sotto forme svariatissime, ma per lo più con corna o testa di vacca, animale a lei sacro. I Greci identificarono Iside con varie loro divinità (Era, Demetra, Afrodite, Selene, Io, ecc.), nel caso della Tazza Farnese si ritiene assimilata a Demetra perché legata al culto eleusino di cui abbiamo accennato sopra. Il culto della dea egizia venne trapiantato in Grecia e più tardi a Roma, e nel periodo ellenistico si diffuse in tutto il bacino mediterraneo, in forma misterica. La dea faceva anche parte del tribunale dell’aldilà.
Tazza Farnese, particolare del retro – Foto: Giorgio Manusakis
Osiride, come detto, era marito, ma anche fratello, di Iside. Essendo una divinità agricola, occupandosi di agricoltura finì col rappresentare anche la Luna, il Cielo, il Nilo e la stessa Terra e, in questa veste, divenne anche dio dei defunti; in tale ottica si ritiene assimilato al dio greco Ade, sovrano degli inferi anch’egli legato al culto eleusino. Osiride muore per poi rinascere. Horus era, invece, un dio Solare, immaginato come un falco che sollevato in cielo illuminava la terra coi suoi raggi. È raffigurato anche come un bambino sul dorso di un coccodrillo, recante in mano per la coda animali dannosi. Dai Greci fu assimilato ad Apollo (Horoapollo) e venerato anche come Arpocrate, dio del silenzio. Nel periodo della decadenza Horus è raffigurato come un uomo con testa di falco che indossa una divisa romana, una corona doppia e, a volte, seduto a cavallo. Il più famoso tempio a lui dedicato fu quello tolemaico di Edfu. Nel cammeo in questione viene assimilato al greco Trittolemo in quanto le raffigurazioni sulla tazza riportano al culto eleusino. Trittolemo, infatti, era figlio di Metanira e di Celeo, re di Eleusi. Fu allevato da Demetra, per riconoscenza verso Celeo che l’aveva bene ospitata nella sua casa quando, durante il suo pellegrinaggio alla ricerca della figlia Persefone, si era presentata sotto l’aspetto d’una povera vecchia. Per ricompensarlo, la dea gli diede un carro guidato da draghi alati, gli insegnò le pratiche dell’agricoltura e gli affidò il frumento, perché dall’alto del cielo lo spargesse su tutta la terra abitata. Ma nonostante tutte le nostre conoscenze, la Tazza Farnese nasconde ancora molti misteri che attendono risposte tra le sue trasparenti incisioni.
Per chi volesse approfondire la storia e il mito della Tazza Farnese, ma anche di centinaia di altre opere esposte al MANN, e vederne più foto e video, i link di riferimento sono i seguenti:
https://www.facebook.com/MUSEOMANN/
[…] si copre i seni ed il pube. Le figure dei venti, invece, sono molto simili a quelle effigiate sulla Tazza Farnese, celebre opera del Mann di Napoli, custodita però all’epoca del pittore presso la corte di […]