Una delle sale della mostra – Foto: Stefania Rega
Tra le arti figurative, la fotografia è una giovane ancella che negli ultimi 180 anni ha provato pervicacemente a crearsi una identità artistica autonoma. L’avanzamento del suo status è testimoniato da una mostra presso le prestigiose Scuderie del Quirinale, uno dei luoghi d’arte d’eccellenza di Roma che nei suoi vent’anni di attività ha ospitato mostri sacri dell’arte figurativa: Raffaello, Caravaggio, Tiziano, Velazquez, Bernini, Giotto, Picasso, per restare ai nomi più importanti.
Oggi le Scuderie ospitano un pezzo di storia della fotografia: L’Italia è un desiderio. Aperta dal 1 giugno al 3 settembre 2023, l’esposizione raccoglie circa 600 scatti realizzati tra il 1842 e il 2022, vale a dire dagli albori della fotografia ai giorni nostri.
La mostra si pone l’obiettivo di ripercorrere i modi e le tecniche attraverso cui il paesaggio italiano è stato raccontato con le immagini. Il titolo un po’ bizzarro, sicuramente inusuale, L’Italia è un desiderio, fa riferimento all’amore di cui l’Italia e le sue bellezze artistiche e paesaggistiche sono state oggetto, in particolare negli ultimi secoli. Quindi, è una mostra che prende le mosse dal passato. Non a caso si affida alla più ricca e prestigiosa memoria storica della fotografia: l’archivio Alinari. Era il 1863 quando i tre fratelli toscani, Giuseppe, Leopoldo e Romualdo Alinari, fecero costruire a Firenze un palazzo per ospitare la ditta che avevano appena creato. Quel palazzo è stata la sede del più antico stabilimento fotografico del mondo, Fratelli Alinari appunto, e il luogo in cui si è formato per sedimentazione il ricchissimo patrimonio fotografico giunto fino a noi, uno dei più grandi archivi fotografici esistenti, oggi contenente più di 5 milioni di immagini. Altri materiali sono stati forniti dal Mufoco, il Museo di fotografia contemporanea. Nella sede di Cinisello Balsamo il museo rappresenta un’importante realtà di conservazione e catalogazione di materiale fotografico, un centro di attività rivolto ad esperti, scuole e privati e un archivio prezioso a cui attingere.
Scuderie del Quirinale – Foto: Stefania Rega
Ai tempi del grand tour, come ci testimonia ad esempio Goethe, i viaggiatori arrivavano in Italia muniti di matita e taccuino per riportarsi in patria non solo il ricordo ma anche una prova tangibile di ciò che avevano visto (con buona pace di chi aveva una mano poco felice). L’avvento della fotografia rispose alla necessità di riprodurre fedelmente il paesaggio, con la massima adesione possibile alla realtà. Come non ricordare i panorami immensi e deserti di Ansel Adams o del nostro Mario Giacomelli. È da qui che prende le mosse la nostra mostra e al primo piano ci propone paesaggi sconfinati e silenti. Talvolta sono paesaggi naturali in cui è il taglio a dare l’identità alla foto, la sua capacità di far sembrare finito un ambiente che finito non è, di trovare il sublime in ciò che è del tutto quotidiano e casuale: il mare può diventare una tavola d’acciaio, un campo coltivato un disegno geometrico. In altri casi, il panorama ritrae le grandi città, Roma, Napoli e Milano in particolare. Spesso sono collage di più foto assemblate con estrema perizia a restituirci il volto per noi sconosciuto delle città che sicuramente abbiamo attraversato almeno qualche volta. Scoprire quanto sono mutati i paesaggi urbani nel volgere di pochi decenni può essere sconcertante, e la fotografia svolge con estrema efficacia la sua funzione documentaristica.
L’ingresso della mostra – Foto: Stefania Rega
La fotografia, tuttavia, è un’arte che cambia con il tempo o meglio che approfitta del tempo che passa. Durante il suo secolo e mezzo di vita ha assorbito tutti i cambiamenti possibili: tecnici, economici, sociali e culturali. Anche il modo di interpretare il paesaggio è cambiato. All’inizio del nuovo secolo il paesaggio fotografico non è più disabitato ma è occupato dall’uomo. Quando il volto e il corpo entrano a far parte del paesaggio la fotografia attraversa una rivoluzione; rivoluzione nel senso di miglioramento e di approfondimento perché ora l’immagine non rappresenta ma racconta. Infatti, le foto ci raccontano di una società in fermento, quella dei primi decenni del XX secolo, con nuovi protagonisti della scena sociale, nuove forme e immagini. Poi ci racconta la guerra, la disperazione e la povertà, e infine la speranza della ricostruzione. E così dai paesaggi muti di Luigi Ghirri si passa ai volti dei contadini siciliani di Fosco Maraini, sorprendentemente realistici nelle nitide monocromie. Ci sono anche gli scenari industriali di Gabriele Basilico che invadono e rimodellano il Nord Italia e che nella loro nudità sono un presagio dell’annullamento dell’uomo davanti alla macchina. E poi il colore che esplode sulla carta e assume un ruolo dirimente, indirizza lo sguardo, accoglie significato, stabilisce priorità. Nell’ultima stanza la fotografia dei primi due decenni del XXI secolo diventa arte mista. Lo sforzo tecnologico è così avanzato che la realtà assume forme, colori e consistenze non più reali e proprio per questo diventa fotografia reale, immagine vera del tempo ultra tecnologico che stiamo vivendo.
Vedere questa mostra significa fare un viaggio nell’Italia di quasi 200 anni. Significa toccare con mano le evoluzioni di un’arte che ha saputo adeguarsi a forme, modi e mezzi in continuo mutamento, ha saputo ritagliarsi uno spazio e un’identità proprie nonostante avesse compagne di viaggio ben più forti e attrezzate.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare per fare una foto non basta fare clic.
La locandina della mostra – Foto: Stefania Rega