Foto (modificata): Menandros Manousakis

Le dure condizioni di lavoro nell’ILVA di Taranto nel film d’esordio di Michele Riondino.

Palazzina Laf è la prima prova alla regia dell’attore Michele Riondino e racconta la storia vera dei lavoratori confinati all’ILVA di Taranto.

Per Michele Riondino, attore e regista tarantino, l’esordio alla regia non sarebbe potuto andare meglio, infatti il film ha collezionato 5 candidature al David di Donatello e ha complessivamente suscitato reazioni positive tra il pubblico e la critica.

Ci troviamo a Taranto nel 1997 dove Caterino Lamanna (interpretato dallo stesso Riondino) è uno dei tanti impiegati della più grande acciaieria d’Europa: l’ILVA. Non avendo nessun coinvolgimento con il sindacato o con la politica, Caterino viene assoldato dalla dirigenza dell’azienda per spiare i lavoratori che scioperano chiedendo condizioni di lavoro migliori. Viene così mandato nella Palazzina Laf, una struttura posta ai margini del perimetro dell’ILVA, che più che essere un luogo di lavoro è un vero e proprio confino. Al suo interno venivano rinchiusi lavoratori, spesso e volentieri estremamente specializzati, che avevano osato ribellarsi alle politiche di sfruttamento aziendale e per questa ragione erano costretti a rimanervi senza poter uscire e senza svolgere alcun tipo di mansione per l’intero orario di lavoro. L’unico modo per poter andare via dalla Palazzina Laf era quello di firmare un contratto che da operai specializzati li declassava a semplici operai, mansione per cui nessuno di loro aveva alcuna competenza. Caterino si trova così ad interfacciarsi con un dirigente spietato (interpretato da Elio Germano) il cui unico interesse è massimizzare il profitto a discapito dei lavoratori.

Il fatto che l’ILVA abbia causato una vera e propria emergenza ambientale e da decenni metta a serio repentaglio la salute dei cittadini di Taranto è ormai noto a tutti. Il merito di Riondino è stato quello di aver portato sul grande schermo una vicenda conosciuta da pochi e che probabilmente ha rappresentato uno dei primi e più eclatanti episodi di mobbing del nostro paese, riconosciuto infatti come tale anche dalla Suprema Corte di Cassazione nel 2006. Non è un caso che Riondino abbia dedicato il suo primo film a questa tematica; l’attore e regista ormai da anni denuncia la situazione di inquinamento e di degrado causata dall’impianto e attivamente si adopera nel territorio. Riondino ha portato sullo schermo anni di battaglie e testimonianze dei lavoratori dell’ILVA e della Laf portando il suo punto di vista, talvolta critico, su numerose questioni. Il personaggio di Caterino rappresenta la sua critica alla classe operaia che, invece di organizzarsi, decide di stare attivamente dalla parte dell’oppressore schierandosi a favore delle stesse politiche aziendali che poi finiranno per ucciderlo. Palazzina Laf è un film concepito nel segno dell’individualismo, in cui il singolo è parte e tutto e vive nel suo piccolo mondo passivo, schiacciato da logiche più grandi di lui. Non a caso il sindacalista che si interfaccia con i lavoratori è egli stesso solo e talvolta impotente davanti a una dirigenza che è spesso incapace di contrastare. Lo spettatore, grazie alle inquadrature frontali, rimane solo osservatore, vivendo, a suo modo, quella dimensione alienante che caratterizza i protagonisti del lungometraggio.

Le performance attoriali di Elio Germano e di Michele Riondino, come sempre degne di nota, sono accompagnate dalle musiche di Antonio Diodato, musicista tarantino, anch’egli impegnato da anni nella causa.  

Il riassunto di Palazzina Laf sta nella frase rivolta a Caterino e pronunciata da uno degli operai: “Ti sei mai chiesto perché di fianco alla più grande acciaieria d’Europa non c’è nemmeno una fabbrica di forchette? Il nostro lavoro serve a far accrescere la ricchezza di qualcun altro, a noi resta solo la munnezza”.

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