Trama

Per “uscire dal mondo senza uscirne”, come recita il sottotitolo, occorre sedersi su una panchina. Poco cambia se accade in una città dall’agio intossicante come Ginevra o nella piazza ottagonale del paese di Linosa, in un paesino a strapiombo sul mare come Ravello o nel parco ducale di Parma.

Da una panchina è possibile guardare il mondo che scorre e se stessi, divenuti invisibili agli occhi di quanti si lasciano trascinare dalla corrente che movimenta giorno e notte le città senza fermarsi mai ad abitarle veramente, occupandone gli spazi. Chi si siede su una panchina sceglie di non scendere in campo, tenta di recuperare il valore della lentezza e, se riesce a concentrarsi fino al punto di giungere alla contemplazione di quello spettacolo che è il mondo, può godere di momenti di beatitudine.

La panchina diventa così un luogo intimo e segreto, una promessa di conversazione con chi non si conosce né si attende. Diventa un’occasione di resistenza culturale ai non-luoghi cittadini costruiti per vendere e lavorare, al negozio (dal latino nec-otium, “attività, traffico”) che rende ciechi e sordi all’arte di abitare, cioè di vivere sensazioni e sentimenti, le vere ricchezze della vita. Sedersi alla panchina vuol dire scegliere l’essenzialità che pone al centro l’umanità, può trasformarsi in una sosta in attesa anche del nulla. Come accade in teatro e come è stato narrato da poeti e musicisti che su una panchina si sono fermati per davvero. 

Perciò la panchina è presenza e immanenza, al pari di un’opera pittorica o letteraria.  Chi si pone in contemplazione dell’umanità da una panchina perde il tempo per guadagnarla e, così facendo, compie un atto rivoluzionario.  E questo lo hanno capito tutti gli amministratori che, negli ultimi decenni, a colpi di ordinanza ne hanno tentato la rimozione nel nome di un presunto ‘ordine’ e ‘decoro’.

Perché leggerlo

Nel libro sono svelati i nomi di insospettabili artisti, poeti, scrittori, scultori, musicisti che nell’arco della propria vita hanno apprezzato le qualità dell’ozio a cui la sosta su una panchina induce. L’invito a seguire il loro esempio, magari gustandosi le pagine del libro di Beppe Sebaste, è un suggerimento tanto spontaneo quanto obbligato.

Il ritmo scorre grazie al costante flusso di pensieri che, ricordo dopo ricordo, fanno salti spazio-temporali e, di panchina in panchina, catapultano in stagioni e ambienti diversi ma sempre al fianco dell’autore. Le sue riflessioni, serie e simpatiche allo stesso tempo, meriterebbero una lettura anche solo per soddisfare la sana curiosità del lettore che si chiede chi ci sia tra coloro che, tra un capolavoro e l’altro, hanno riposato le stanche membra su una panchina, occasione di contemplazione che crea e di meditazione che porta all’autoconsapevolezza. L’autore intreccia spazi e luoghi creando sfondi ideali a far risaltare la seducente bellezza di un posto casuale e gratuito, pronto ad accogliere chiunque, nel proprio percorso di vita o nella quotidiana tabella di marcia, sia pronto a fermarsi.

Se lo sei, ritagliati dello spazio, magari sedendoti su una panchina con questo libro tra le mani: nonostante tutta la narrazione ruoti attorno a un oggetto, non ti annoierai. Di spunti di riflessione su di sé e sulla realtà che ci ruota attorno ce ne sono, sarebbe davvero difficile terminare la lettura senza aver conosciuto un pochino meglio se stessi.

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