Berlino, la cupola del Sony Center – Foto: Giorgio Manusakis

Molte grandi città del pianeta hanno subito, nel corso degli ultimi decenni del Novecento, una vera e propria trasformazione, sia a livello di assetto che di funzionalità, ispirata dallo stile e dai principi dell’architettura hi-tech

Le città hi-tech, innovative e green al contempo

Con l’espressione architettura hi-tech si indica un filone ‘tardo’ del movimento modernista, i cui principi furono enunciati in un libro dal titolo “High Tech: The Industrial Style and Source Book for the Home”, a cura di Joan Kron e Suzanne Slesin. In questo volume i due autori ponevano in evidenza la necessità di rinnovare significativamente le città contemporanee. I nuovi edifici, in esse costruiti, devono avere, in pratica, un aspetto innovativo, capace di sorprendere a primo acchito l’osservatore, ed al contempo essere costruiti con materiali più resistenti ed a basso impatto ambientale.

Uno dei principi basilari posti dai teorici dell’architettura hi-tech è, inoltre, la versatilità dei palazzi, che in genere si caratterizzano per la coesistenza di più funzioni. D’altra parte, i materiali che li compongono devono essere facilmente visibili dall’esterno. Generalmente, la pianta è di tipo libero, ovvero imperniata su una griglia modulare che può essere ampliata in maniera indefinita. Gli arredi interni, invece, presentano spesso componenti industriali (ad esempio prodotti chimici), in quanto capaci di soddisfare tanto una finalità estetica quanto esigenze di solidità e funzionalità.

Da Foster, pioniere dell’hi-tech in Inghilterra, al Centro Direzionale di Kenzo Tange

In realtà, circa dieci anni prima della pubblicazione del volume di Kron e Slesin, Norman Foster aveva già progettato edifici inquadrabili in una dimensione hi-tech, come la Fabbrica Reliance Control di Swindon e soprattutto la sede della Willis Faber & Dumas di Ipswich. Quest’ultima presentava il tema innovativo (per quei tempi) della facciata esterna totalmente in vetro.

Anche a Parigi, tra il 1971 ed il 1977, era stato costruito un altro famosissimo esempio di architettura ‘ad alta tecnologia’: il Centre George Pompidou, a cura di Richard Rogers e Renzo Piano. La struttura, a forma di navicella, destò un ampio dibattito tra i critici, proprio come accadde per la Torre Eiffel a fine Ottocento. Ciò che lo contraddistingueva particolarmente, infatti, era l’estrema libertà degli interni, che potevano essere sfruttati per diverse finalità (artistiche, ricreative, informative, ecc.).

Il Palazzo della Hsbc può essere considerato come il primo esempio di costruzione hi-tech sostenibile. Il suo progettista, che fu il su menzionato Norman Foster, ebbe l’intuizione di sfruttare unicamente fonti naturali, rappresentate rispettivamente dall’acqua di mare e dalla luce solare, per far funzionare gli impianti di climatizzazione ed illuminare omogeneamente tutti gli interni.

Anche in Italia, ancora oggi, si possono ammirare edifici e poli residenziali che rispecchiano i canoni dell’architettura hi-tech. Per quanto riguarda il Mezzogiorno, il più importante esempio, sia sul piano della funzionalità che dell’estetica, è senza dubbio rappresentato dal Centro Direzionale di Napoli, opera dell’architetto giapponese Kenzo Tange. Nel complesso, situato alle spalle della stazione ferroviaria, articolato in una serie di isolati, intermezzati da aiuole e fontane, e dotato di un vasto parcheggio sotterraneo, si può vedere una sorta di nuova city per la presenza di sedi di istituzioni amministrative, quali la Regione Campania ed il Comune di Napoli, e note aziende private.

Centro Direzionale di Napoli – Foto: Giorgio Manusakis

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *