Trama
Come le canne sono in balìa del vento, così la vita degli esseri umani è segnata da un destino inesorabile: il potere dell’uomo sulla sorte è nullo. Grazia Deledda lancia questo messaggio sin dal titolo, una citazione dei Pensieri di Blaise Pascal (1670), e lo fa riaffiorare, pagina dopo pagina, dalla storia delle quattro donne di casa Pintor.
Le vite di Ruth e Ester, le sorelle maggiori, rassegnate all’avanzare della vita moderna ma nostalgiche dei nobili valori del passato, e quelle di Noemi e di Lia, le sorelle più giovani e ribelli, prendono strade diverse, un po’ secondo l’indole di ciascuna e un po’ in risposta agli usi e ai costumi della società di Galte. Lia, la più giovane, fugge dalla Sardegna per sottrarsi alla tutela del nobile padre, che non si rassegna alla sua scomparsa e la cerca fino alla morte. Le altre tre vivono tra le mura domestiche, sdegnando l’aiuto quando questo è palesemente frutto del compromesso. Non sono delle eroine, come non sono eroi i personaggi maschili: Don Zame, il padre; Giacinto, il figlio di Lia; Don Pedru, il ricco cugino; Efix, il servo fedele. Quest’ultimo è l’unico vero custode dei segreti, confessati e inconfessabili, di casa Pintor. Lavora per assicurare una quotidianità dignitosa a Noemi e alle sue sorelle; affianca Giacinto nel tentativo di farlo accettare dalle zie e di farlo inserire nella comunità locale; mendica per sostenere le sorelle Pintor, quando scoprono di dover ripagare un grosso debito; media quando c’è da combinare un matrimonio per salvare il salvabile. Il servo Efix si trasforma in un tessitore di possibili relazioni salvifiche: compie imprese che sembrano veri miracoli, gli stessi che vengono pregati ai santi da uomini che, per quanto ricchi, sono incapaci di risolvere i problemi.
La decadenza della famiglia è scongiurata da un matrimonio che mette a posto qualcosa che, più che essersi rotto, sembra stia andando in frantumi. Di certo c’è solo che una nuova storia può avere inizio dalla cenere di un vecchio mondo.
Perché leggerlo
Il disorientamento provato dai personaggi narrati in questo romanzo del 1913 è lo stesso che viviamo oggigiorno tutti noi e di cui la Deledda ci narra attraverso la fusione tra stati d’animo e paesaggi.
Il mondo conosciuto sta volgendo al termine e una realtà inaspettata avanza, spazzando via vecchi usi e costumi e imponendone di nuovi: oggi la realtà digitale ci fa conoscere un mondo virtuale, che cambia modi, tempi e qualità della relazione. I legami si decompongono e si ricompongono molto più velocemente di quanto avveniva nella società sarda, e non solo, all’inizio del Novecento.
Ma la precarietà vissuta da chi cerca un equilibrio emotivo sul quale costruire il proprio avvenire è rimasta un elemento costante, perché l’equilibrio è effimero. Tale è anche la capacità di autoregolarsi, che dipende da fallaci variabili, sociali ed economiche, che non è possibile modificare da sé. Averne coscienza ci aiuterà a dare il giusto peso a ciò che conta veramente nelle nostre vite, fragili ma al tempo stesso piene di senso.