Antonio Canova, ‘Amore e Psiche stanti’ (1796-1800) – San Pietroburgo, Museo Ermitage – Foto: Giorgio Manusakis

La favola più bella che sia mai stata scritta – Le nozze divine

Abbiamo lasciato Psiche che era riuscita a superare anche l’ultimo ostacolo postogli dalla terribile suocera, Venere, ma rimaneva l’ultima insidia che la dea della bellezza aveva preparato per lei e che faceva leva su una caratteristica molto femminile: la vanità! La torre parlante, infatti, le dispensò un ultimo fondamentale consiglio: “Ma tra tutte le cose quella che ti raccomando più di tutto è questa: non cercare di aprire o di sbirciar dentro quella scatolina che porti con te, in una parola non cercare con troppa curiosità di scoprire quel tesoro di bellezza divina che vi è nascosto” (Apuleio, Metamorfosi, VI, 19). Come dimostra il mito delle sorelle Erse, Pandroso e Aglauro nella mitologia di Atene, dire a una donna di non essere curiosa significa renderla irresistibilmente curiosa, inoltre Psiche, dopo aver sopportato ogni sorta di fatica, vedeva la sua bellezza provata, e dunque disse tra sé e sé: “Ma certo che sono proprio una sciocca che porto con me la bellezza degli dei e neanche ne prendo un pochino per me: magari così piacerò al mio bellissimo amante!”. (Apuleio, Metamorfosi, VI, 21) E così Psiche aprì la scatoletta ma, con suo grande stupore, non vi trovò la bellezza degli dei, bensì un sonno mortale che la fece immediatamente crollare sul sentiero dove si trovava, proprio come fosse morta. Nel frattempo però, Amore si era ripreso dalle ferite ed era scappato via dalla prigione per ricongiungersi alla sua amata, ma la trovò quasi completamente immersa nel suo sonno di morte. Tuttavia un filo di vita era rimasto e Amore non perse tempo: le asciugò il sonno mortale, lo rimise nella scatoletta, quindi la svegliò con una leggera puntura della sua freccia e le disse di portare a termine quanto le aveva richiesto Venere. Psiche non se lo fece dire due volte, e immediatamente si recò dalla dea con la scatoletta richiesta.

Michelangelo Buonarroti, copia da (attr. a Hendrik van der Broeck), ‘Venere con Amore’, olio su tavola – Napoli, Museo di Capodimonte – Foto: Giorgio Manusakis

Nel frattempo Amore, preoccupato dei cattivi rapporti tra la madre e la moglie (che a dispetto dei millenni passati è, per molti, ancora un problema attualissimo), si recò dal padre degli dei, Zeus, perorando la sua causa, o meglio, il suo amore per Psiche. Alla sua richiesta il sommo Zeus rispose: “…è vero che tu non mi hai mai portato quel rispetto che mi è dovuto secondo unanime concessione degli dei, e hai inferto continui colpi a questo mio cuore che detta ordine alle leggi della natura e ai moti degli astri, e lo hai macchiato facendolo spesso precipitare nelle passioni terrene, e con avventure vergognose che vanno contro le leggi…hai danneggiato il mio onore e la mia reputazione, facendo sì che trasformassi il mio volto sereno nelle forme più immonde, in serpente, in fuoco, in belva feroce, in uccello, in bestia di gregge. Tuttavia, non voglio dimenticare la mia clemenza, oltre al fatto che sei cresciuto tra le mie mani, e farò tutto quello che vuoi, purché tu sappia che dovrai guardarti da quelli a cui hai dato l’esempio;” (Apuleio, Metamorfosi, VI, 22). Detto ciò Zeus convocò l’assemblea degli dei e comunicò le sue decisioni al riguardo, dicendo che era tempo di mettere fine alla ‘dissolutezza giovanile’ di Amore con il matrimonio e aggiunse che la prescelta era Psiche; poi tranquillizzò la figlia Venere dicendole che avrebbe reso immortale Psiche e eterno il loro matrimonio, quindi ordinò a Mercurio di portare in cielo Psiche a cui porse personalmente una tazza di ambrosia, il cibo degli dei, dicendole: “Bevi, Psiche, e diventa immortale: e Cupido non si scioglierà mai dal legame con te, ma queste vostre nozze saranno eterne”. (Apuleio, Metamorfosi, VI, 23). Seguì un divino (nel vero senso della parola) e sontuoso banchetto nunziale cui parteciparono tutti gli dei cantando, suonando, ballando e divertendosi. Poco tempo dopo Psiche diede alla luce una figlia cui fu dato il nome di Voluttà. E come per ogni favola che da allora si narra, vissero tutti felici e contenti!

Filippo Tagliolini, ‘Amore e Psiche’ (1790 ca.), porcellana – Napoli, Museo di Capodimonte – Foto: Giorgio Manusakis

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