Foto: Menandros Manousakis
La sensibilità verso gli animali cresce sempre di più. Ma dov’è che bisogna distinguere l’animale dall’uomo?
Milioni sono gli animali cresciuti in allevamenti per l’industria alimentare, dell’abbigliamento e per le sperimentazioni non solo mediche. Molte persone ritengono che tutto ciò non sia giusto e, le più estremiste, propongono di equiparare i diritti degli animali a quelli degli uomini; ma non è così semplice come potrebbe sembrare. Partiamo dalle posizioni più intransigenti per poi cercare un punto di equilibro. I sostenitori dell’equiparazione dei diritti degli animali a quelli dell’uomo affermano che si può vivere anche con una dieta a base solo vegetariana e che, in alternativa, si può creare la carne in laboratorio attraverso la clonazione di una sola cellula animale e, quindi, gli allevamenti ai fini alimentari potrebbero essere aboliti. Per quanto riguarda, invece, gli animali allevati per pellicce e altri indumenti e accessori, propongono una riconversione delle industrie in aziende di pelli sintetiche. Tralasciamo, per ora, l’argomento sperimentazione scientifica che necessita di un discorso più complesso, e anche ogni discorso etico legato alla presunzione o meno che l’uomo sia la specie dominante del pianeta e, quindi, abbia (o meno) facoltà di usare gli animali come una delle tante risorse della Terra. Del resto, giusto o no che sia, è ciò che accade fin dalla nascita dell’umanità. Coloro che, invece, sono di idee del tutto opposte, sostengono che non è pensabile una scomparsa degli allevamenti, dato che costituiscono una fonte importante del PIL di molti Stati, per alcuni, come l’Argentina, addirittura il più importante. Inoltre fanno notare che per alcune specie come le mucche, allevate fin dalla nascita dall’uomo, sarebbe impossibile vivere in libertà. A ciò aggiungono che la dieta vegetariana non è equiparata a quella onnivora, ovvero quella naturale dell’uomo il cui organismo, pertanto, necessita di carne. Per quanto riguarda il comparto abbigliamento, fanno notare che la riconversione delle industrie arrecherebbe molti danni economici alle aziende, ma anche alle identità culturali di certe zone geografiche come, per esempio, nel caso dei conciatori fiorentini.
Foto: Giorgio Manusakis
E arriviamo, ora, alla sperimentazione scientifica. Fino al 2012 erano circa 12 milioni gli animali usati nei laboratori: scimmie antropomorfe, topi, ma anche gatti e cani, in particolare di razza Beagles. Ma usati come cavie per cosa? Si pensa subito al campo medico, che sicuramente la fa da padrona; ma avreste mai pensato che gli animali fanno da cavie anche per i test di collaudo per le nuove armi sia balistiche che chimiche, oltre che nucleari e biologiche? Fino a un decennio fa venivano utilizzati come cavie anche dalle aziende di prodotti di bellezza, ma una legge europea del 2009 proibisce la vendita di cosmetici testati su animali. Gli animalisti sostengono che tutto ciò potrebbe essere evitato grazie alle nuove tecniche come la sperimentazione in silico (ovvero le simulazioni al computer), i metodi in vitro, le analisi chimiche, la ricerca clinica, gli studi epidemiologici e la bioinformatica. In parte è vero, ma anche due illustri scienziati italiani quali Umberto Veronesi e Rita Levi Montalcini, che si sono sempre battuti a favore degli animali, sostenevano che per alcune sperimentazioni non è possibile sostituirli. Inoltre, anche gli antivivisezionisti riconoscono l’utilità finora ottenuta dagli esperimenti sugli animali: pensiamo ai vaccini, che prendono il nome proprio da ‘vacca’, l’animale su cui furono testati; oppure alle flebo, sperimentati prima su cani e roditori. Uno dei problemi principali, come sempre, sono i costi ancora troppo elevati per evitare cavie, ma la crescente sensibilità verso gli animali ha portato a leggi sempre più a favore di questi ultimi. Va detto che l’Italia, per una volta, è stata più rapida dell’Europa, approvando leggi ancora oggi più restrittive di quelle europee. Da noi, infatti, fin dal 1991 è vietato l’uso dei randagi nei laboratori, così come, dal 2008, in campo didattico non si possono più utilizzare gli animali. Inoltre, cani, gatti e scimmie possono essere utilizzati solo previa autorizzazione del Ministero della Salute in deroga, quindi, alla legge; lo stesso vale per gli esperimenti privi di anestesia. Tutte cose che negli altri Paesi europei, invece, sono consentite. Tuttavia, la legge europea ha ristretto le norme vigenti nei vari Stati (Italia a parte), ha aggiunto una maggiore trasparenza e anche la valutazione del dolore provocato agli animali: se viene giudicato troppo elevato, non viene concessa l’autorizzazione all’esperimento. In conclusione si può dire che si è trovato un punto di equilibrio in cui, grazie alla maggiore sensibilità verso gli animali, la sperimentazione fa sempre meno uso di essi e cerca, per quanto possibile, di non farli soffrire; ma soprattutto si sta cercando di spostare la ricerca sempre più su sistemi alternativi. Due riflessioni, però, vanno fatte: si parla sempre più di inserire nella nostra dieta gli insetti, cosa che già accade in molti Paesi, ma ciò non suscita alcuna polemica degli animalisti, come se non appartenessero al mondo animale. Bisogna, dunque, differenziare gli umani, come unica specie, dagli animali, termine in cui si racchiudono milioni di specie diverse, e considerare il loro diverso rapporto con l’uomo. E poi c’è da fare un’ultima riflessione: recentemente diversi studi, sempre più numerosi, sono tesi a dimostrare che anche nel mondo vegetale esiste una sorta di ‘vita sensoriale’: se dovesse dimostrarsi reale, il vegetariano cosa potrebbe più obiettare?
Foto: Giorgio Manusakis