Nel suo ultimo film il regista Alain Ughetto racconta la storia dell’emigrazione della sua famiglia dall’Italia a inizio ‘900

Manodopera, l’ultimo film di animazione di Alain Ughetto, prodotto da Lucky Red ed uscito nelle sale italiane lo scorso 31 agosto, si potrebbe sintetizzare così: quando ad emigrare eravamo noi e la manodopera era la nostra.

Il film si apre con un dialogo-intervista tra il regista e sua nonna che, rispondendo alle domande di Alain, lo conduce attraverso il tempo ricostruendo la sua storia e quella della sua famiglia.

Tutto inizia a Ughettiera, paese alle pendici del Monviso, in Piemonte, da dove i suoi nonni, Luigi e Cesira, partono per spostarsi in Francia e garantirsi la sopravvivenza. Siamo agli inizi del 1900 e la coppia si troverà ad affrontare tutti gli eventi che hanno per sempre stravolto la storia contemporanea: la guerra in Libia, la Prima guerra mondiale, l’ascesa del fascismo ed infine la Seconda guerra mondiale. Quella che viene raccontata in questo film è la realtà della vita degli operai costretti a lavorare per ore interminabili e in condizioni di assoluta precarietà in luoghi dove gli incidenti sul lavoro sono all’ordine del minuto. Gli stessi operai che hanno costruito le grandi infrastrutture, che hanno scavato i tunnel e costruito le dighe, qualche anno dopo sono stati mandati in guerra in Libia e dopo qualche anno ancora nelle trincee, senza alcun tipo di preparazione o equipaggiamento. Operai esattamente come il nonno di Alain Ughetto. E questo è un aspetto che viene evidenziato dalla stessa nonna del regista che, nella sua narrazione, dice al nipote che loro non sono stati quelli che si sono arricchiti, ma solo la manodopera sacrificabile.

Nonostante la crudezza degli eventi raccontati il lungometraggio mantiene una narrazione molto delicata che tocca lo spettatore nel profondo. Una delle tematiche centrali è la condivisone che tiene legata tutti i personaggi della storia e li conduce attraverso i travagliati eventi storici che hanno colpito il mondo del secolo scorso; condivisone che non è solo quella del cibo e della casa, ma anche quella del dolore e dell’elaborazione del lutto che accomuna ed avvicina tutti i personaggi.

Il film è girato adoperando la tecnica dello stop-motion e la ragione dietro questa scelta è tutt’altro che casuale. I nonni del regista hanno lavorato la terra e la stoffa, hanno spaccato le pietre, alzato muri e suonato strumenti per scacciare il dolore della guerra. Le mani, quindi la manodopera e il lavoro manuale, sono il filo conduttore che collega il passato e il presente. Il regista infatti, attraverso la creazione di pupazzi in plastilina, ha riportato in vita la storia della sua e di tante altre famiglie che, attraverso il lavoro e le difficoltà, hanno costruito il mondo che conosciamo oggi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *