La copertina di “Ottocento napoletano” – Foto: Matilde Di Muro

“Ottocento napoletano”: ispirazione, parola e musica.

Poesia: ha senso parlarne oggi, agli esordi di questo 2024, tra rumori assordanti e chiacchiericci continui, caotici e, talvolta, deliranti, tra sedicenti esperti e blateranti tuttologi sui più disparati temi come intelligenza artificiale, problemi ambientali, nuove e vecchie forme di violenza, bisogni esistenziali di una società sazia e narcotizzata, tra vecchi e nuovi conflitti, alcuni che si riacutizzano ed altri che si sclerotizzano? Ha senso parlare di poesia?

Probabilmente, per molti, il solo intravedere la parola “poesia” fa venir voglia di passare oltre, mentre io mi appresto a fare alcune semplici riflessioni su questo tema per raccontare di chi sceglie, ancora oggi, di parlare del proprio mondo attraverso la poesia e lo fa coltivando l’amore per la lingua napoletana.

Partendo da un semplice accenno alle origini della poesia, che è nata prima della scrittura ed è stata una delle più antiche forme d’arte, sottolineo solo il fatto che, sin dal mondo arcaico e per lunghissimo tempo, essa fu affidata all’oralità, alla trasmissione a voce di poeti-cantori che diffondevano la loro arte viaggiando di luogo in luogo. Platone ne La Repubblica affermava: “mentre la pittura è fatta per la vista, la poesia nasce per essere detta, è destinata alle orecchie” sancendo così il grande legame tra poesia, suono e musica.

Il filosofo, che nella società dell’epoca ricopriva una funzione altamente educativa, era considerato un essere ispirato dal mondo divino e ciò rimanda a quell’intimo bisogno, che è proprio dell’essere umano, di essere sì attento alle questioni materiali che lo portano a soddisfare i propri bisogni esistenziali ma che non può, oltretutto, prescindere dal guardare ‘oltre’, lì dove cuore e anima trovano il giusto nutrimento.

Partendo da questi semplici accenni su storia e caratteristiche, voglio soffermarmi su tre concetti propri della poesia: ispirazione, parola e musica.

Un momento dell’evento – Foto: Matilde Di Muro

Oggi, che abbiamo moltiplicato le forme di comunicazione e di linguaggio, oltre che i mezzi di diffusione del pensiero che ci consentono di raggiungere, in un batter d’occhio, un numero infinito di persone, possiamo davvero considerare le nuove generazioni e la società odierna come un insieme di uninspired che fa a meno delle parole e per la musica si affida a ritmi assordanti e tutt’altro che melodiosi?

Credo sia miope guardare al presente come ad un tempo completamente avulso da ciò che ci ha formati e pensare al passato con nostalgia o con sufficienza. Piuttosto, ritengo utile mettere l’accento sul fatto che, attraverso innumerevoli fasi evolutive e cause si è giunti, oggi, a nuove forme di poesia che talvolta fatichiamo a riconoscere come tali o che, in alcuni casi, possono apparire eccessivamente dissacranti.

Siamo indubbiamente in un’epoca di grandi contraddizioni in cui sapersi destreggiare ed essere in equilibrio richiede grandi abilità. Infatti, se solo pensiamo al concetto odierno di ‘parola’ e al suo utilizzo, ci viene in mente il linguaggio della messaggistica breve che tutti usiamo e che è talmente sintetico da essere, molto spesso, sostituito da piccoli simboli, le emoticon, che raccontano di sentimenti, pensieri e reazioni. Allo stesso tempo notiamo come il mondo dei social sia talmente pieno di parole che, quando ci si addentra, sembra di essere in una giungla, affascinante ma altrettanto piena di possibili insidie.

Ogni epoca ha avuto passioni, stimoli e inquietudini che sono divenuti, poi, vere e proprie fonti di ispirazione e hanno dato vita a generi letterari che possono aver fatto arricciare il naso a tanti: basti pensare alle ‘parole in libertà’ della poesia di Marinetti o alla poetica sintetica dell’Ermetismo.

E le fonti di ispirazioni attuali? Oggi sembra essere andata perduta quell’irrazionalità che, da sempre, è stata alla base dell’espressione poetica e che spinge a dialogare col mondo oltre sé stessi. Ci sembra di essere entrati in una sorta di auto-rispecchiamento: l’uomo si mostra chiuso in se stesso e appare caduto vittima di una forma estrema di individualismo quale è il narcisismo. Parliamo, chiaramente, di un individualismo generalizzato, ritenuto sano e competitivo dai modelli dominanti nella società contemporanea, ma che, di fatto, si manifesta attraverso pensieri e sentimenti troppo materialistici e che, in quanto tali, difficilmente toccano le vette più astratte del linguaggio che è proprio della poesia.

Ma non dimentichiamoci di quella stretta e primordiale connessione tra poesia e musica. È la lirica: quella poesia che ha in sé alcune qualità della musica e che, unita al suono, riesce a trasmettere concetti e stati d’animo in maniera più evocativa e potente. Come abbiamo già accennato, l’aspetto lirico, che è all’origine della poesia stessa, non ha mai smesso di esistere anche se è innegabile che la sua produzione si è intensificata nei tempi recenti, in particolare a partire del XX secolo, con la nascita di generi musicali più popolari. In questa pratica, va ricordato che il contemporaneo italiano ha avuto rappresentanti degni di nota: basti ricordare, solo per citarne alcuni, Giorgio Gaber con, per esempio, L’illogica allegria, o Fabrizio De Andrè con Anime Salve, Franco Battiato con Inverno e il napoletano Pino Daniele con Quanno chiove. Sono solo alcuni esempi che appartengono ad un cantautorato poetico che non smette di far battere il cuore. Ai contenuti delle loro canzoni guardano persino le nuove generazioni anche se, molto spesso, amano esprimere le loro inquietudini attraverso un genere totalmente diverso come il cosiddetto freestyle.

In definitiva: che fine ha fatto la poesia oggi?  

Vero è che, tecnicamente, l’espressione poetica è l’arte alla portata di tutti, basta un foglio di carta e una matita e il gioco è fatto, e che in un mondo in continua evoluzione, come il nostro, anche il panorama della poesia si presenta fluido, sfuggente e in continua trasformazione. La poesia prolifera libera, senza organizzazione, senza seguire poetiche militanti o progetti letterari e si diffonde grazie al web che è esso stesso un universo fluttuante… Ne risulta che, talvolta, più che in poesia, ci imbattiamo in ‘produzioni poetiche’ dei nostri giorni, ovvero in manufatti passeggeri, prodotti mordi e fuggi, soggetti alle leggi del gusto e della moda.

E la poesia, quella classica e intramontabile, quella dei più grandi autori dell’800 e del ‘900, è davvero stata archiviata come si fa con un abito logoro o messa in vetrina come un antico cimelio?

Ebbene no, c’è chi, oltre a produrre personalmente composizioni poetiche, non smette di mantenere un forte legame con i classici dei secoli appena trascorsi e con la ‘lingua’ del proprio territorio.

Di cosa e chi stiamo parlando?

“Ottocento napoletano”: una raccolta di poesie, scelte tra le più intense e rappresentative dell’’800 internazionale, rilette, in maniera del tutto inedita, in lingua napoletana. Salvatore Esposito ne è l’autore: un informatico napoletano con la passione per la poesia e per la lingua napoletana. Egli scrive, da oltre quarant’anni, poesie in italiano e in napoletano, ha partecipato a diverse antologie e a numerosi concorsi letterari conseguendo diversi riconoscimenti. Studia con passione e dedizione la lingua napoletana sino ad acquisire grande competenza e a far parte dell’A.N.PO.S.DI. (Associazione Nazionale Poeti e Scrittori Dialettali). Ha sperimentato la pratica della traduzione in lingua napoletana delle poesie d’autore prima attraverso la scelta di cinquantanove poesie del ‘900, ed ora, in questo straordinario saggio, si è dedicato alla poesia dell’800.

Interessante è innanzitutto la scelta dei brani poetici che, spaziando da Oscar Wilde a Evelina Cattermole, da Alessandro Manzoni a John Keats, da Goethe a Giacomo Leopardi, da Nietzsche a Emily Dickinson, ben ci descrivono la complessità della loro epoca. Ma la straordinarietà di questa raccolta è soprattutto nell’aver saputo accostare linguaggi tanto diversi alla vitalità della lingua napoletana e di averlo fatto, oltre che con grande sensibilità personale e rispetto per la composizione poetica originale, con meticolosa attenzione e una tale perfezione tecnica da tradire un’impostazione professionale di tipo scientifico qual è il suo lavoro pluridecennale nel campo dell’informatica.

Esposito ha dimostrato come questa lingua, grazie e soprattutto alla storia del popolo partenopeo che l’ha generata, abbia in sé il prezioso dono dell’inclusività, parola oggi tanto in voga ma, talvolta, nei fatti, poco attuata perché capace di restituire al contempo concretezza e astrazione, grazie ad una ricchezza davvero unica di sfumature e di risonanze, di enfasi e di colorate musicalità.

Un momento dell’evento – Foto: Matilde Di Muro

Salvatore Esposito ci dimostra in versi come la lingua napoletana riesca, mirabilmente, a coniugare quei tre concetti che inizialmente ho sottolineato essere stati elementi fondanti della poesia sin dalle origini: ispirazione, parola e musica.

E allora, se una composizione di Gustave Flaubert (1821-1880) dal titolo “Pioggie di primavera” recita così:

“Mentre cammini, una nuvola si apre

all’improvviso, viene giù acqua.

La pioggia, però, finisce quasi subito.

Allora, camminando sul selciato

della città, si vedono le strade scintillare

sotto il sole.”

dopo l’attento lavoro di traduzione e grazie alle mille accoglienti sfumature della lingua napoletana, sarà “Acquarella ‘e primavera” e recita così:

“Ntramente cammine, na nuvula s’arape

a ntrasatto, ll’acqua scenne abbascio.

L’acquarella, però, fernesce quase subbeto.

Allora, cammenanno ncopp’ â vrecciunata

d’ ‘a città, se vedono ‘e strate luccechià

sott’ ô sole.”

Che magia, che musicalità…. La lingua, oltre a veicolare significati e contenuti, sia informativi che emotivi, si fa portatrice di suoni e diventa melodia su cui il corpo danza. Sì perché, come ogni buon napoletano sa, se la poesia, anziché essere semplicemente letta, è intimamente ‘ascoltata’, va anche istintivamente interpretata con il linguaggio del proprio corpo. Ed ecco che la lirica si fa esperienza umana totalizzante proprio come avveniva, sin dall’antichità, nella dimensione teatrale, quella stessa dimensione di cui cultura e lingua napoletana sono intrise.

Il libro ha avuto una prima presentazione a Napoli lo scorso 4 gennaio presso il complesso monumentale di San Lorenzo Maggiore, importante location nel ventre storico della città, in presenza dell’autore, Salvatore Esposito, del dott. Giovanni Porta, che ha moderato l’incontro, della dott.ssa Marina Fraldi, filosofa e attrice teatrale che ha declamato alcune poesie, e della prof.ssa Maria Rosaria Palmieri, che si è occupata di presentare alcune performance musicali a tema.

Nuovamente è stato presentato sabato 13 gennaio a Casavatore (NA) presso il Centro Polifunzionale della Parrocchia Gesù Cristo Lavoratore.

È un testo che consiglio di leggere quando si sente il bisogno di andare ‘oltre’ e l’esigenza di sottrarre la propria ‘vita profonda’ alla logica di mercato, quando il respiro diventa affannoso perché la frenesia del mondo moderno ci schiaccia sotto la dittatura dei primordiali bisogni materiali: “Ottocento Napoletano” di Salvatore Esposito, Gambini Editore.

Matilde Di Muro con l’autore e le altre persone intervenute

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *