Foto: titolo: View of Roccagloriosa – autore Geofix – licenza: Wikimedia Commons

Forse tutti non lo sanno, ma Roccagloriosa, comune del basso Cilento della provincia di Salerno, con circa 1500 abitanti, ubicata sulla collina denominata “Le Chiaie” un tempo chiamata “Rupe del Monte S.Giacomo” e posta a 430 m s.l.m., è stata al centro di un importante rinvenimento archeologico: un frammento di tabula bronzea opistografa (cioè che ha iscrizioni su entrambe le facce), con iscrizione osca, databile tra il IV ed il III secolo a.C., oggi esposta presso il locale Museo Civico “Antonella Fiammenghi”.

Storicamente la zona non è stata oggetto di riferimenti da parte degli antichi scrittori, per cui il passato degli abitati lucani (popolazione di ceppo italico, originaria dell’Italia Centro-Meridionale di origine sannitica e di lingua osca che si insediò, intorno al V secolo a.C., nei territori sino ad allora chiamati dai greci Enotria), e in particolare di Roccagloriosa, è stato ricostruito progressivamente grazie agli scavi archeologici. Alcuni rinvenimenti di interesse risalgono all’età del Bronzo (II millennio a.C.), ma le prime testimonianze di un certo valore si fanno risalire all’età del Ferro (VIII-VI secolo a.C.), quando la zona divenne un insediamento perlopiù stagionale. Fu, però, a partire dal IV secolo a.C. che si registra una maggiore densità rurale, collegata alla formazione di uno o più centri abitati, come meglio descritto in una relazione di valutazione archeologica, datata marzo 2022, della Soprintendenza di Salerno, redatta con riguardo alla possibile realizzazione di un impianto fotovoltaico in località S. Venera.

Come puntualmente descritto dall’archeologo Maurizio Gualtieri nella premessa al testo intitolato Roccagloriosa I, scritto in collaborazione con Helena Fracchia, professoressa emerita dell’Università di Alberta (Canada), pur in presenza di alcuni riferimenti sull’esistenza di un antico centro in scritti storici del 1800 (come descritto nella Storia delle Due Sicilie – dall’antichità più remota al 1789, di Nicola Corcia del 1847), l’esplorazione archeologica più approfondita dell’area parte solo negli anni ’70 del secolo scorso: prima con l’archeologo Mario Napoli, Soprintendente a Salerno, che portò alla luce una poderosa cinta muraria e, successivamente, con lo stesso Gualtieri che continuò nell’opera di scavo insieme a studiosi dell’Università canadese di Alberta.

Roccagloriosa, Tomba IV sec a.C. – Autore: Bbicienz – Licenza: Wikimedia Commons

La storia della tavoletta bronzea di Roccagloriosa nasce proprio in stretto collegamento con il progetto di valorizzazione del sito archeologico voluto dal Comune, dalla Soprintendenza e finanziato dall’Ente Parco Nazionale del Cilento, con il contributo di enti di studio canadesi.

Già nel 1986, nel corso di una revisione dei reperti rinvenuti durante i lavori di scavo, fu individuata una laminetta di piombo (cm 3,8 x 11), databile al IV secolo a.C., recante un’iscrizione più aderente ai modelli greci rispetto all’epigrafia osco-greca di Rossano di Vaglio (dove furono rinvenute altre tavole dello stesso genere), interpretata come una defixio, una pratica rituale molto diffusa nel mondo classico, consistente in una vera e propria maledizione.

Nel 1999, a causa dei movimenti franosi cui è soggetto il pianoro dove insiste il sito archeologico, si rese necessario procedere a una serie di interventi volti al suo consolidamento e fra il materiale crollato venne ritrovato un frammento di tavola di bronzo recante, su entrambe le facce, una iscrizione in osco, la lingua dei sanniti nella sua variante meridionale che utilizza l’alfabeto greco.

Il frammento, di forma quadrangolare, largo 12 cm e alto 9 cm, rappresenterebbe solo una parte di una tavola originariamente più grande che il prof. Paolo Poccetti, linguista dell’università Tor Vergata di Roma, stima essere solo un sesto o un ottavo dell’intero. Il lato A è composto da 11 righe di testo, mentre il lato B ne ha 14 e nessuna di esse conserva più di quattro parole. Quindi l’iscrizione, allo stato, riflette solo una minima parte del testo originale, il che rende difficile una corretta interpretazione della stessa nel suo complesso.

Lo stato della tavola ha consentito, comunque, la lettura di una buona parte del testo emerso che, come osservato già nell’immediatezza dai professori Gualtieri e Pocetti, in occasione del XXXIX Convegno di studi sulla Magna Grecia (Taranto 1 – 5 ottobre 1999), contiene molte parole nuove e in particolare un riferimento a un magistratus, la menzione di una sententia e della touta, termine italico che indica la città-stato, cioè la comunità come entità statale, il che ha consentito di ritenere che si trattasse di un testo giuridico di carattere pubblico.

Frammento di tabula bronzea da Roccagloriosa: faccia A – Licenza: OpenEdition Books

Successivamente lo stesso Gualtieri, nella sua Bibliografia topografica della colonizzazione greca in Italia e nelle Isole Tirreniche (2001), nel trattare delle fonti epigrafiche di Roccagloriosa precisa come nell’iscrizione del frammento di tabula fosse riconoscibile il testo di una legge anche per l’uso di formule note, caratterizzate, in molti casi, dalla presenza di un certo numero di imperativi. Lo studioso ipotizza che la carica magistratuale attestata fosse quella del meddes e che, dove si leggono le parole pous meddes, si farebbe un evidente riferimento alla presenza di più meddices, il che lascerebbe pensare a un implicito richiamo ad un organo deliberante.

Il prof. Poccetti, come linguista, nei suoi studi ha avuto modo di analizzare il contenuto delle iscrizioni aggiungendo informazioni ulteriori sul carattere pubblico e normativo del documento, nonché sulla sua datazione, ricorrendo anche a parallelismi con altri scritti. Lo studioso, nel suo documento intitolato “La documentazione linguistica preromana lungo la fascia tirrenica a sud di Velia: un bilancio delle acquisizioni più recenti”, inserito negli atti del convegno sulla Calabria tirrenica nell’antichità (Rende 23-25 novembre 2000), evidenzia come le iscrizioni lascino intravedere strutture sintattiche di una certa complessità, comuni a quelle dei testi normativi, che prevedono una casistica generale, seguita dalla conseguente statuizione, del tipo: “se qualcuno si trova in una certa condizione o se si realizzano determinate condizioni […] allora in questo caso si deve o non si deve […]. La dott.ssa Loredana Cappelletti dell’Università di Vienna, dal canto suo, nel libro “Gli Statuti di Banzi e Taranto nella Magna Grecia del I secolo a.C.” (Peter Lang editore, 2011), nel trattare gli statuti delle due città, ha richiamato in appendice la cosiddetta  lex di Roccagloriosa e la Tabula Heracleensis, due documenti epigrafici, di contenuto normativo, considerati di grande importanza in quanto appartenenti anch’essi a due comunità della Magna Grecia, sia pure di diversa lingua e di epoche diverse: in osco e di fine IV-inizi III secolo a.C., come già evidenziato, la prima, e in lingua latina, della metà del I secolo a.C., la seconda.

Frammento di tabula bronzea da Roccagloriosa: faccia B – Licenza: OpenEdition Books

A commento della tavola di Roccagloriosa, la studiosa evidenzia come il testo dimostri due cose: che l’incisione su bronzo di testi legislativi rappresentava una prassi che stava ormai diffondendosi nel mondo italico già nel IV secolo a.C. e, in secondo luogo, che già in questo periodo storico la comunità osca di Roccagloriosa usava terminologia e formulari tecnico-giuridici, alcuni dei quali presenti nello statuto osco di Banzi. Quindi, essi non dovevano essere necessariamente ricondotti ai modelli statutari o di prassi giuridica e giurisdizionale romano-latina.

Come per altri documenti datati tra il VI e il IV secolo a.C. (come le più datate leggi di Zaleuco a Locri, di cui si sa solo per la menzione in scritti antichi), il ritrovamento sarebbe la conferma del graduale passaggio da un diritto consuetudinario, basato su una tradizione trasmessa oralmente, ad un ordinamento fondato sulla redazione di leggi scritte. Per Gualtieri, quanto documentato per il mondo lucano tra IV e III secolo a.C. sarebbe da collegare anche a un possibile “effetto domino” che coinvolse altre società, soprattutto dell’Italia centrale, fra tutte quella etrusca e quella della Roma alto-repubblicana, che ha segnato il definitivo superamento dei modelli sociali indigeni.

In definitiva il frammento di tabula bronzea rinvenuto a Roccagloriosa rivela l’esistenza, nel mondo lucano, di tradizioni legislative in forme che avevano raggiunto un elevato grado di raffinatezza concettuale e di elaborazione formale. Gli studi sono ancora in corso ma se l’interpretazione si rivelasse esatta ci si troverebbe di fronte all’unico testo di legge in osco noto, dopo la più recente e conosciuta lex Bantinarinvenuta nel 1793 a Oppido Lucano, di cui un frammento è conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, la quale si distingue da quella di Roccagloriosa per l’uso dei caratteri latini.

Lex Bantina (II-I sec. a.C.) – Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) – Foto: Giorgio Manusakis

Al di là del valore storico-giuridico della tabula, una visita all’area archeologica e museale di Roccagloriosa rappresenta comunque una esperienza da fare per godere della intatta necropoli, della imponente cinta muraria, degli affascinanti resti di ampie abitazioni familiari, di un macello e di un forno di cottura della ceramica, ma anche per ammirare i reperti, anche orafi di particolare fattura, unici nel loro genere e in eccellente stato di conservazione.

A titolo informativo si segnala che i musei di Roccagloriosa nel periodo estivo sono aperti in fasce orarie stabilite, mentre per visitarli nel resto dell’anno è bene contattare preventivamente il locale Comune, anche per fruire dell’ausilio di una guida.

Specifiche foto:
Titolo: View of Roccagloriosa
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Titolo: Tomba IV sec a.C. Roccagloriosa
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Titolo: Frammento di tabula bronzea da Roccagloriosa: faccia A
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Titolo: Frammento di tabula bronzea da Roccagloriosa: faccia B
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