Justicia de Seleuco – Licenza: Wikimedia Commons

Nel mare della storia antica dell’Italia, spesso ci imbattiamo in figure eroiche, re e condottieri famosi. Tuttavia, tra queste vicende affascinanti emerge un personaggio meno conosciuto ma altrettanto importante: Zaleuco. Questo leggendario nomoteta (cioè colui che stabilisce la legge) del VII/VI secolo a.C. ha svolto un ruolo cruciale nella creazione delle prime leggi scritte dell’Italia antica che, secondo alcune fonti, sono anteriori anche a quelle ateniesi e di Gortina a Creta. Tale legislazione influenzò profondamente la cultura giuridica della regione e da taluni storici è considerato il primo legislatore del mondo occidentale.

La Vita di Zaleuco

Si sa molto poco della vita di Zaleuco, ma si crede che sia vissuto nella città di Locri Epizefiri, situata nell’odierna Calabria. Lo storico Eusebio di Cesarea (Cesarea Marittima 265 – 340 circa), nel suo Chronicon, colloca la sua nascita tra il 663 ed il 662 a.C.. Di contro,  tanto nel passato come in tempi più recenti, alcuni studiosi, tra tutti Richard Bentley e Julius Beloch, mettono in dubbio la sua reale esistenza, parlando di lui come della trasposizione fisica della parola “luminoso” o “che tutto riluce”, da cui deriverebbe il nome Zaleuco, voluta al fine di dare un volto umano a leggi dettate da una divinità solare, così come accaduto anche per l’ancor più antico legislatore spartano Licurgo (vissuto in epoca incerta compresa tra il XII e il IX secolo a.C. secondo alcune fonti, mentre per Aristotele fu un contemporaneo dei primi giochi olimpici nell’VIII secolo a.C.), il cui nome, etimologicamente, dovrebbe significare “il facilitatore di luce”.  

L’aneddotica sulla sua vita, proveniente da storici delle epoche successive, non dà, tuttavia, motivo per negare la sua vera esistenza, come sottolineano anche gli studi di Crispo, nel suo scritto intitolato “Di Zaleuco e di alcuni tratti della civiltà locrese“, tratto dall’Archivio storico per la Calabria e la Lucania.

Incerta è pure la sua origine: c’è chi afferma, come lo storico Diodoro Siculo (nato ad Agirio e vissuto tra 80 e 20 a.C.), che appartenesse a una delle famiglie più in vista della città; altri affermano fosse stato educato alla scuola di Pitagora (Samo 570 a.C. – Metaponto circa 490 a.C.), come dedotto dal Conte di Pastoret nella sua Histoire de la législation (1817-1837), cosa, questa, assai improbabile visto che quest’ultimo sarebbe nato quasi un secolo dopo. Un’altra tradizione, narrata da Aristotele, lo vuole figlio di pastore, a cui i Locresi si affidarono su suggerimento dell’oracolo di Apollo (Nicola Leoni, “Studi Storici su la Magna Grecia e sulla Brezia“).

Altrettanto incerta è la sua fine. Per alcuni Zaleuco sarebbe rimasto vittima delle sue stesse leggi, poiché si sarebbe presentato armato innanzi al popolo convocato in parlamento: siccome la legge vietava tale condotta, accortosi di ciò si uccise con la sua stessa arma nel rispetto dei dettami normativi che contemplavano, per tale violazione, la pena di morte. A tale proposito va precisato, però, che alcuni storici raccontano di una fine uguale anche per il legislatore Caronda, vissuto a Catania nel VI secolo a.C., per taluni discepolo di Zaleuco, e ciò finisce per alimentare dubbi sulla sua veridicità. Altri, invece, credono sia morto combattendo per la patria.

Il dubbio sulla storicità di Zaleuco è, quindi, antico e dibattuto, per cui, per rimanere sulle leggi a lui attribuite, non resta che risolverlo alla maniera di Cicerone che nel “De Legibus“ (Libro II, par.15), a proposito della diatriba sull’esistenza del nomoteta, scrive: “Quid, quod Zaleucum istum negat ullum fuisse Timaeus?” (Che importanza può avere che Timeo abbia negato l’esistenza di Zaleuco?); “…Sed sive fuit sive non fuit, nihil ad rem: loquimur quod traditum est(Ma che lo sia stato o meno è irrilevante: parliamo di ciò che è stato tramandato).

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Le Leggi di Zaleuco

Come il suo autore, anche la legislazione attribuita a Zaleuco, di cui non si ha cognizione diretta ma solo richiami nelle fonti degli antichi scrittori, è ancora oggi oggetto di discussioni, anche circa il periodo della sua emanazione. Proprio con riguardo alla datazione, molti fatti ed indizi portano a ritenere che il codice, nella sua struttura originaria, possa essere tanto tardo da essere ricondotto agli anni immediatamente successivi alla fondazione della polis di Locri (ca. 680/675 a.C.) e quindi può essere considerato il più vetusto corpo normativo scritto dell’occidente, a fonte certa, di diritto pubblico e privato. 

Strabone (nato ad Amasea Ponto prima del 60 a.C. e morto, forse, ivi nel 20 d.C.) storico e geografo greco, nel VI libro della geografia, dedicata all’antica Italia, Sicilia, Iapigia, afferma che i Locresi furono i primi a dotarsi di leggi scritte e riferisce che Eforo (Cuma Eolica, vissuto tra il 400 e il 330 avanti Cristo) le attribuisce a Zaleuco, il quale avrebbe messo insieme leggi dei Cretesi, dei Laconi e Aeropagiche.

Diodoro Siculo, che ricorre alle cronologiche di Apollodoro di Atene, alla successione delle olimpiadi e ad altri strumenti per individuare con la massima approssimazione la datazione degli accadimenti storici, nel XII libro della Bibliotheca Historica parla di Zaleuco di Locri collegandolo a Caronda, prima citato, come colui che elaborò le leggi per Locri.

Molti altri illustri storici e filosofi del passato e studiosi moderni hanno messo in dubbio la collocazione storica tanto antica delle leggi di Locri, interpretando gli scritti che le riferiscono.  Proprio da una rilettura della tradizione che è frammentata in diversi testi (vedi gli atti del “LIII convegno di studi sulla Magna Grecia – Taranto 26-29 settembre 2013), alcuni storici, che premettono il dubbio sulla stessa esistenza storica di Zaleuco, considerando l’assenza del suo nome nelle fonti di VI, V e prima metà IV secolo a.C., Demostene (politico ateniese 384 – 322 a.C.) incluso, ritengono che l’azione nomotetica sia il frutto di elaborazioni, successive a quelle ipotizzate, da parte di discepoli della scuola di Pitagora.

Tutte le ricostruzioni storiche molto antiche, fondate su ricerche da scritti in molti casi non scevri da influenze politiche, filosofiche e storiche, portano molto spesso all’accertamento di verità parziali ed è quindi possibile, come ipotizzato dallo storico Luigi Pareti anche per Licurgo nel suo scritto Storia della regione lucano-bruzzia nell’antichità, che le leggi attribuite a Zaleuco possano essere il compendio scritto postumo di tutte le leggi ancora vigenti a Locri ed emanate dalla fondazione della colonia in poi. Ciò spiegherebbe le caratteristiche di notevole arcaicità di alcune di esse, come quelle che prevedono l’applicazione del taglione e la contemporanea esistenza di elementi più recenti, molto significativi, di avanguardia, come l’abolizione della schiavitù.

Alle fine, se vogliamo, complessivamente, le leggi di Zaleuco erano comunque espressione di una visione comunque più moderna del diritto e anche le regole più dure rappresentavano la volontà di trasmettere un approccio nuovo, senza dubbio più vicino al concetto di giustizia nella sua accezione più vera.

La previsione scritta delle regole da rispettare, non più caratterizzate dall’indeterminatezza della tradizione orale, e la previsione di una specifica sanzione per la loro inosservanza, rappresentano il passo decisivo verso la certezza del diritto, sottratto alla discrezionalità dei giudici, e nel contempo sono un segno della necessità di ricercare una stabilità anche politica. Basta pensare alla pratica del ‘cappio al collo’ che prevedeva la morte per coloro che volevano innovare le leggi se poi esse non fossero state approvate. Non a caso dagli scritti antichi emerge come la legislazione locrese ebbe a durare almeno due secoli e risulta essere stata adottata da diverse poleis della Magna Grecia.

La possibilità di modificare le leggi (con tutti i rischi del caso per la pratica del ‘cappio al collo’ sopra citata) era sottoposta al giudizio di una assemblea oligarchica e, quindi, ad appannaggio di un organo terzo, separato da quello che amministrava la città e dai magistrati, dando luogo ad una embrionale divisione dei poteri.

L’affermazione del sancito principio di eguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini ha rappresentato una rottura significativa con le tradizioni che consentivano ad alcune classi sociali di godere di privilegi. A tal proposito basta pensare all’aneddoto sulla fine di Zaleuco, sopra citato, o all’altro episodio narrato secondo il quale lo stesso legislatore sacrificò un suo occhio per evitare la cecità assoluta al figlio che, reo di adulterio, era stato condannato all’accecamento.

Tutto sommato, nel rileggere le legislazioni del passato come quella di Zaleuco ci possiamo rendere conto di quanto esse abbiano ancora tanto da insegnare, visto che ancora oggi alcuni di quei principi da esse sanciti, talvolta per l’epoca rivoluzionari, a distanza di oltre 2500 anni fanno fatica ad affermarsi in modo definitivo.  

Specifiche foto:
Autore: Published by Guillaume Rouille(1518?-1589), Public domain, da Wikimedia Commons
Titolo: Zaleucus
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Autore: Di Perin del Vaga – www.pintura.aut.org, Pubblico dominio
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