Foto: Stefania Rega

Un poeta del Seicento tra liriche e conflitti.

Grazie agli archivi della città di Napoli, il professore Vincenzo Palmisciano ha portato alla luce l’opera poetica di don Giuseppe Storace d’Afflitto. Si tratta di un poeta nativo di Sant’Agnello e vissuto a Napoli nel secolo XVII, profondamente inserito negli ambienti dell’aristocrazia colta ma un po’ truffaldina del tempo. Il ritratto di questo sconosciuto poeta fornisce un ulteriore tassello del variegato, strepitoso affresco di un’epoca che per la città di Napoli fu per molti versi la più straordinaria e la più creativa della sua lunghissima storia.

Nella prima parte del corposissimo volume, Palmisciano dà notizia dei documenti di nascita e battesimo di tutta la famiglia di Giuseppe Storace d’Afflitto. Quindi, introduce le sue raccolte, alcune in italiano altre in napoletano, che il poeta pubblicò. Della prima, Della musa lirica, Palmisciano dà una dettagliatissima descrizione partendo dalla copertina del volume conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli. Lo stemma rappresentato sul frontespizio subito sottolinea i legami dell’autore con due famiglie nobiliari potentissime in quei secoli, i Carafa e i Barberini. Ma naturalmente è l’opera poetica ad esprimere il valore artistico di Storace d’Afflitto. Palmisciano elenca ed illustra accuratamente il genere dei sonetti: un sonetto di proemio, 47 di genere amoroso, 37 di scherzi pastorali, 7 di funerali e così via.

La seconda opera analizzata è De la tiorba a taccone, la sua più famosa. Qui Palmisciano si sofferma a dare conto della disputa secondo la quale queste liriche sarebbero in realtà opera di Giulio Cesare Cortese, ma il nostro autore sostiene che esse sono il frutto di un lavoro di d’Afflitto su opere poetiche di altri autori pubblicate tutte dopo la morte di Cortese.

Anche di questa seconda opera, Palmisciano fornisce una precisissima disamina relativa al numero e al tipo di sonetti che contiene.

La polemica sulla paternità non fu un caso isolato. Un evento simile in realtà si verificò anche con un altro poeta del tempo, Girolamo Fontanella. Palmisciano ci racconta che i due poeti, amici e sodali, furono protagonisti di un triste episodio di usurpazione del lavoro poetico nel quale ebbe un ruolo anche Anna Carafa di Stigliano, viceregina di Napoli. D’Afflitto infatti accusò Fontanella di avergli sottratto dei componimenti e averli pubblicati, con l’avvallo di Anna Carafa, nella sua raccolta Nove cieli. Palmisciano sostiene la veridicità dell’accusa, restituendogli dopo cinque secoli il merito usurpato.

Infine, Palmisciano ci presenta Il monte Posilipo, che definisce la più autobiografica delle opere di d’Afflitto, e il Rebuffo l’unica raccolta in cui l’autore abbandoni il tema amoroso.

Una volta illustrati gli esiti delle sue scoperte archiviste, Vincenzo Palmisciano ha inserito nel volume le opere integrali del poeta napoletano, con un ricco corredo di note, un approfondimento su una serie di vocaboli del dialetto napoletano e infine uno studio meticoloso su un abito di Anna Carafa.

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