La favola più bella che sia mai stata scritta – La vendetta

Non sapendo più controllare la sua passione, Psiche tornò a letto e cominciò a baciare con tutta la sua passione Amore, desiderandolo sempre più e avendo il timore di non poterlo avere per molto tempo ancora, dato che la notte era già prossima a finire. “Ma mentre, eccitata da quel piacere immenso, vi si abbandona completamente, ferita al cuore, la lampada, forse per vile tradimento, forse per malvagia gelosia, o forse perché anche lei desiderava toccare e quasi baciare un corpo così bello, lasciò cadere dalla sua punta luminosa una goccia d’olio bollente sulla spalla destra del dio” (Apuleio, Metamorfosi, V, 23). Vi chiederete come mai Amore avesse un sonno così pesante da non svegliarsi né con la lampada accesa né sotto la furia passionale di Psiche. Apuleio non ce lo dice, ma possiamo immaginare la fatica di Amore dopo un giorno intero a volare scoccando frecce a destra e a manca, a uomini e immortali, e poi tornare a casa e mantener fede ai suoi impegni coniugali! Comunque sia, ci volle l’olio della lampada a svegliarlo, e appena aperti gli occhi Amore, “scoperta la macchia della sua fede tradita, senza dire neanche una parola, volò via dai baci e dalle braccia della sua infelicissima moglie” (Apuleio, Metamorfosi, V, 23). Psiche lo afferrò alla gamba destra e volò con lui, ma dopo un po’, ormai esausta, si lasciò cadere al suolo; Amore volò sulla cima di un cipresso vicino e le disse: “Povera ingenua Psiche! Io per te ho dimenticato gli ordini di mia madre, che mi aveva comandato di incatenarti alla passione per l’uomo più umile e abbietto, di condannarti al matrimonio più ignobile, e io stesso invece sono volato da te, per diventare tuo amante. Sono stato uno sciocco, lo so: io, il famosissimo arciere, mi sono colpito da solo con la mia stessa freccia, e ho fatto di te mia moglie, col risultato, a quanto pare, che tu credessi che io fossi un mostro e cercassi con quella lama di tagliarmi la testa, la testa dove stanno questi occhi innamorati di te! Questo è ciò da cui, come ti raccomandavo continuamente, dovevi guardarti, di questo ti avvertivo con affetto. Ma una cosa è certa: quelle bravissime consigliere delle tue sorelle me la pagheranno molto presto per i loro rovinosi insegnamenti. Quanto a te, la mia fuga basterà a punirti” (Apuleio, Metamorfosi, V, 24). E, con queste ultime parole, spiccò il volo verso l’alto. Psiche, distrutta dal dolore per la perdita del suo amato e non riuscendo a perdonarsi di essere stata lei stessa la causa di tanta sofferenza, cercò di togliersi la vita gettandosi in un fiume, ma questi, temendo Amore, la adagiò dolcemente sulle sue rive anziché farla annegare. Lì la vide il dio Pan mentre insegnava alla ninfa Eco a ripetere (ma questo è un altro amore di cui parleremo in futuro), il quale la invitò a non cercare una via di fuga nel suicidio, ma piuttosto a fare di tutto per ingraziarsi Amore con le preghiere.

Amore, visto da Psiche, vola via – Potsdam (Germania), Orangerie – Foto: Giorgio Manusakis

Psiche lo ascoltò e riprese a vagare finché non si ritrovò nella città dove viveva una delle sue sorelle. Lì si fece condurre al cospetto della sorella regina e le raccontò quanto accaduto, ma cambiò il finale: non le disse che il dio si sarebbe vendicato, ma piuttosto che, lasciata Psiche, avrebbe preso in sposa sua sorella. Appreso ciò la donna immediatamente si recò sulla rupe dove Zefiro le conduceva alla reggia e disse al vento di accompagnare la sua nuova padrona dal dio. Ma Zefiro non arrivò e lei si sfracellò al suolo in mille brandelli diventando pasto per gli uccelli. Ma la vendetta, come potete immaginare, non si esaurì lì. Psiche riprese a vagare finché non arrivò nella città dove viveva l’altra sorella, a cui riservò un trattamento del tutto simile, facendo diventare anche lei cibo per gli uccelli. Nel frattempo Amore si era ritirato nella stanza della madre a lamentarsi per l’accaduto, ma un gabbiano andò da Venere, che era in vacanza al mare e, dopo averla raggiunta con un tuffo, le raccontò che la sua famiglia era sulla bocca di tutti “perché ve la siete filata, quello in montagna a rimorchiare, tu al mare a sguazzare, e così non c’è più posto per il piacere, la grazia, la dolcezza, e tutto è rozzo, selvatico, sciatto…” (Apuleio, Metamorfosi, V, 28). Venere insistette per sapere il nome della fidanzata del figlio, e potete ben immaginare la sua rabbia quando il gabbiano le disse che era Psiche! Già i rapporti tra nuora e suocera raramente sono idilliaci, poi, anziché punirla Amore ne aveva fatto la sua sposa! Ripresasi dallo shock, Venere si precipitò a casa e iniziò a urlare al figlio tutta la sua rabbia e il suo sdegno, facendogli una gran lavata di testa per questa bravata degna del miglior Pierino la Peste; lo accusò di non essersi mai fatto scrupolo di colpire con le sue frecce gli dei e persino la sua stessa madre, e minacciò di fare un altro figlio a cui dare il suo arco e le sue frecce, poi, ultimata la sfuriata, lo lasciò chiuso nella stanza e andò via chiedendo a Cerere e Giunone, che incontrò per strada, di rintracciare Psiche. Nel frattempo la dolce fanciulla si era rimessa in cammino arrivando ad un tempio di Cerere dove la dea la riconobbe e le disse che la furiosa Venere la stava cercando. Psiche allora pregò la dea di tenerla nascosta lì anche solo per pochi giorni, ma Cerere, sebbene commossa, disse che non poteva fare una tale scortesia a Venere, e si limitò a non imprigionarla per condurla da lei, come le era stato chiesto di fare. Psiche, ancora più triste e abbattuta, riprese il suo cammino fino a giungere in un bosco dove vi era un altare con molte offerte a Giunone, allora si fermò e supplicò la dea di farlo, ma anche Giunone, sebbene commossa, per non mancare di rispetto a Venere si rifiutò di aiutarla. Psiche, sempre più depressa, pensò allora di consegnarsi spontaneamente a Venere, sperando di trovare in casa sua anche l’amato marito, e decise di mettere in pratica quest’idea senza più esitazioni quando Venere, visto che non riusciva a trovare Psiche, col benestare del padre Giove andò tra tutti i popoli insieme a Mercurio il quale proclamava: “Se qualcuno riuscirà a riportare indietro dalla fuga o a indicare dove se ne sta nascosta la schiava fuggitiva, figlia del re, serva di Venere, di nome Psiche, si incontri con il banditore Mercurio: a titolo di ricompensa per la denuncia, riceverà da Venere in persona sette dolcissimi baci, più un altro ancor più delizioso, dato con il tocco carezzevole della sua lingua” (Apuleio, Metamorfosi, VI, 8).

Probabilmente non molte donne erano interessate al premio, ma i maschietti pur di arrivare ad ottenerlo avrebbero fatto qualsiasi cosa. E infatti subito si scatenò una gara tra loro, cosa che fece rompere ogni indugio a Psiche, la quale si consegnò a Venere portandosi al suo palazzo. Lì una serva della dea, Abitudine, la prese per i capelli e la trascinò da Venere che, vedendola, subito scoppiò in una fragorosa risata isterica. Poi chiamò due sue ancelle dai nomi tutt’altro che rassicuranti, Inquietudine e Tristezza, e la fece frustare minacciandola di non farle portare a termine la gravidanza, quindi si prodigò personalmente a malmenarla e strapparle i capelli che ancora aveva in testa e infine, dopo aver fatto portare del grano, dell’orzo, del miglio, semi di papavero, ceci, lenticchie e fave, li mescolò con cura per creare un unico mucchio e le disse: “Visto che sei una schiava tanto brutta, mi pare che tu non possa guadagnarti il favore dei tuoi amanti in nessun altro modo se non facendo con impegno il tuo lavoro: perciò adesso anch’io voglio mettere alla prova questa tua bravura. Dividi questo ammasso disordinato di semi e, dopo aver rimesso in ordine i chicchi a uno a uno secondo il tipo e averli separati, presentami il lavoro completato entro stasera” (Apuleio, Metamorfosi, VI, 10). Sarebbe stato un lavoro impossibile per chiunque e quindi Psiche non accennò nemmeno a farlo. Eppure riuscì a portare a termine il compito impostogli dalla terribile suocera Come fece ve lo diremo nella prossima puntata.

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