La favola più bella che sia mai stata scritta – Amore e Psiche
Per un po’ di tempo le cose andarono avanti così e Psiche era felice anche di quel marito che veniva solo di notte e di cui ignorava l’aspetto, le bastava la sua voce e i teneri momenti che passavano insieme. Ma l’invidia, si sa, è cosa molto pericolosa e Amore, che ben lo sapeva, mise in guardia Psiche dicendole: “Mia dolcissima Psiche, mia amata moglie, la Fortuna, sempre più crudele, ti minaccia con un pericolo mortale; ti raccomando di far attenzione e di essere ancor più prudente. Le tue sorelle, sconvolte dalle voci della tua morte, si sono messe in cerca delle tue tracce e presto arriveranno alla roccia che sai: se mai dovessi sentire qualche loro lamento, tu non rispondere, anzi non farci neanche caso; altrimenti causerai a me un grandissimo dolore e a te poi la rovina completa”. (Apuleio, Metamorfosi, V, 5)
Ma Psiche si sentiva in una prigione dorata, senza contatti con altri esseri umani e soprattutto senza poter far sapere alla sua famiglia di essere viva, ricca e felice, quindi prima piangendo e poi minacciando anche di uccidersi, convinse Amore a cedere alla sua richiesta di incontrare le sorelle, confermando quanto già descritto nell’articolo intitolato Neanche gli dei, ovvero che quando una donna si mette in testa una cosa, neanche un dio può nulla. Amore provò fino all’ultimo ad avvertirla del pericolo dicendole: “Però ricordati che io ti avevo avvertito seriamente, quando comincerai – e sarà troppo tardi – a pentirtene!” (Apuleio, Metamorfosi, V, 6) e, in un ultimo, disperato tentativo di salvare il loro amore, le disse di stare attenta soprattutto a non farsi convincere dalle sorelle a cercare di scoprire il suo aspetto. Psiche giurò più volte che non l’avrebbe mai fatto, quindi l’avvolse sinuosamente col suo corpo e, sussurrandogli dolci parole d’amore, lo coprì di moine convincendo Amore ad acconsentire al suo desiderio e confermando che anche in situazioni del genere non c’è poi tanta differenza tra uomini e dèi. Fu così che Zefiro, seguendo gli ordini del padrone, portò alla reggia le sorelle di Psiche mentre queste, la prima volta, si trovavano sulla rupe a piangere la sorella. Giunte però alla reggia, le due sorelle si resero conto che Psiche era stata molto più fortunata di loro, che facevano da badanti a dei mariti anziani e che non possedevano neanche una minima parte delle ricchezze che aveva Psiche. E non bastarono tutte le pietre preziose e i gioielli, che Psiche generosamente regalò loro, a far cessare l’invidia che, anzi, crebbe ancor più, fino al punto che le due sorelle si accordarono escogitando un piano per rendere infelice la più fortunata Psiche. Amore tentò ancora una volta di avvertire Psiche e questa volta aggiunse che doveva stare molto più attenta alle sorelle in quanto era anche incinta. Ma Psiche non credette alla malvagità delle sorelle, definite da Apuleio “consponsae factionis” (Apuleio, Metamorfosi, V,14), che si può tradurre come “associazione a delinquere”, e le fece tornare alla reggia. Una volta qui le due sorelle, saputo che Psiche era incinta, non sopportando l’idea che la sorella minore avesse per marito un dio da cui stava per avere un figlio, e per niente placate nella loro invidia dal trattamento regale loro riservato e dai nuovi ricchi doni che Psiche elargiva ad ogni loro visita, misero in atto il loro astuto piano: giunte alla rocca dov’erano solite parlare con Psiche e dove Zefiro le sollevava portandole alla reggia, le ricordarono le parole della profezia, convincendola che suo marito era veramente un mostro a forma di serpente, che in tanti nella zona lo avevano visto e tutti dicevano che l’avrebbe trattata così bene solo fino alla fine della gravidanza per avere, in tal modo, un pasto più succulento.
L’ingenua Psiche, dimenticando gli avvertimenti di Amore, si convinse che era così e chiese alle sorelle cosa avrebbe potuto fare. Le due sorelle subito colsero l’occasione che con tanta fatica avevano cercato, e una delle due le disse cosa avrebbe dovuto fare: “Prendi una lama tagliente e ben appuntita, resa ancor più affilata a furia di sfregarla passandola sul palmo della mano, e nascondila in quella parte del letto dove dormi di solito; poi tieni pronta una lampada, ben riempita d’olio in modo che brilli di una bella luce…appena lui, trascinando le sue spire striscianti, sarà salito come al solito sul letto e ormai disteso lì, vinto e in balìa del primo sonno, comincerà a respirare pesantemente come quando si dorme…allora, senza paura, prendi quell’arma a doppio taglio e prima sollevala ben in alto con la mano, poi con il colpo più forte che puoi, tronca di netto la testa a quel serpente spaventoso, proprio nel punto in cui si unisce al collo. E non ti mancherà di certo il nostro aiuto: appena tu con la sua morte ti sarai salvata la vita, noi, che avremo atteso ansiosamente il momento, ci precipiteremo lì e, dopo aver portato via insieme a te queste ricchezze, ti uniremo, con quel matrimonio che hai tanto desiderato, a un essere umano come tu stessa sei”. (Apuleio, Metamorfosi, V, 20) Sebbene combattuta da ciò che provava per Amore, Psiche organizzò tutto come le avevano consigliato le sorelle, ma anche lei, come le sorelle e come tutti gli altri (compreso molti di voi lettori) aveva commesso lo stesso errore di superficialità nell’essere così certa che il mostro descritto dall’oracolo avesse davvero l’aspetto di un serpente, e quando accostò la lampada grande fu la sorpresa che apparve ai suoi occhi. Ma facciamolo raccontare ad Apuleio: “Ma non appena, accostata la lampada, si fa luce sul segreto del suo letto, ecco cosa vede: tra tutte le bestie feroci la più mite e più dolce che c’è, Cupido in persona, il bel dio che dormiva in tutta la sua bellezza: a quella vista persino la luce della lampada si rallegrò, ravvivandosi, e la lama si pentì della sua punta sacrilega. Quanto a Psiche, sconvolta da quella visione straordinaria e completamente rapita, pallida come un morto, si sentì mancare e tutta tremante si piegò sulle ginocchia; e cercò di nascondere l’arma, ma nel suo petto: e lo avrebbe fatto di sicuro se l’arma, per paura di un così grave misfatto, non le fosse scivolata e scappata via da quelle mani incoscienti”. (Apuleio, Metamorfosi, V, 22) Amore, prima di mettersi a letto, aveva riposto l’arco e le frecce ai suoi piedi e Psiche, con la curiosità tipica di una donna, andò a sbirciare nel feretro, ma non contenta di aver visto, volle provare quanto fossero appuntite le sue frecce, e avendo ancora le mani tremanti dalla sorpresa, si punse il pollice “E fu così che spontaneamente, senza accorgersene, Psiche s’innamorò di Amore”. (Apuleio, Metamorfosi, V, 23)