Disegno: Salvatore De Rosa

In un’epoca come la nostra, in cui il web ha amplificato la diffusione di tutto, il copyright favorisce o blocca il progresso?

Vi potrà sembrare superfluo discutere sul fatto se il diritto d’autore, o copyright, debba sempre essere rispettato o meno. Perché mai l’autore di un’opera originale non dovrebbe vedere riconosciuta la sua creatività? Eppure, continuando a leggere questo articolo, qualche dubbio dovrebbe venirvi.

Quando si parla di copyright si pensa immediatamente a libri, musica, fotografia o arte in generale ma, come vedremo, non sono gli unici campi in cui si applica. In epoca web, dove spopolano social e blog, la diffusione di immagini, video e scritti è smisuratamente amplificata rispetto al passato, e con essa anche la conoscenza. Dunque la prima domanda da farsi è questa: è più giusto tutelare il diritto dell’autore o il diritto di tutti alla conoscenza? Sebbene possa sembrare scontato dire che è giusto riconoscere i diritti di un’opera all’autore, in molti credono che non sia così, ed è su questo che si basa il copyleft. Ideato da Richard Stallman nel lontano 1984, si tratta di un copyright che consente di utilizzare, copiare, modificare e distribuire opere in ambito informatico, purché ne sia garantita sempre la gratuità. Ironicamente, il copyleft non è altro che l’applicazione del copyright finalizzato a liberare un prodotto dal…copyright! Sulla scia del copyleft, nel 2002 Lawrence Lessing, professore di Harward, creò le licenze Creative Commons, che ampliano a ogni tipo di opera il copyleft ma, in alcuni casi, prevedono anche l’uso in ambito commerciale. In pratica è una licenza con quasi tutti i diritti riservati. Ma perché fanno questo, vi chiederete. Perché con il copyleft e le licenze Creative Commons, il contenuto è disponibile a tutti e nessuno può sfruttare l’opera a fini di lucro, quindi molte ricerche in campo scientifico, medico, statistico e tanti altri ancora, possono essere utilizzate da chiunque, e questo favorisce lo sviluppo e la cultura. Non a caso il prestigioso Massachusetts Institute of Technology e il CERN pubblicano progetti e studi con queste licenze ‘aperte’. Ma anche istituzioni pubbliche come l’ISTAT, la Camera dei Deputati, la Casa Bianca e ministeri di numerosi Stati, pubblicano contenuti con licenze Creative Commons; in Europa lo fanno Bulgaria, Georgia, Grecia, Paesi Bassi, Polonia, Serbia e Spagna.

Riuscite ad immaginare cosa significa questo in campo medico? Molti farmaci sono costosi perché il loro copyright (ovvero il brevetto) li rende tali e, dunque, inaccessibili alle classi meno agiate. Si dirà che le ricerche sono costose e, dunque, le case farmaceutiche devono rientrare delle spese e poi, ovviamente, guadagnarci. Ma non sempre è così semplice quando si parla di multinazionali e di guadagni enormi. In una puntata di Report, la nota trasmissione Rai, l’inchiesta giornalistica ha dimostrato come attualmente il 99% delle varietà di mele in Italia siano OGM coperte da copyright, e gli agricoltori sono vincolati da un contratto che impone loro non solo di pagarle il doppio delle normali varietà, ma anche di non poter duplicare le piante e non poterne vendere i frutti a chiunque, ma solo ai distributori autorizzati. Ma il ‘controllo’ della produzione e della vendita non si ferma qui: infatti gli agricoltori nel contratto accettano anche di subire ispezioni da parte del detentore del brevetto. Siete ancora convinti che il copyright sia qualcosa che deve sempre essere rispettato? Allora passiamo ad un altro esempio più ‘classico’.

In campo editoriale sembra superfluo dire che l’autore di un’opera debba essere tutelato e ricompensato, e questo compito spetterebbe all’editore. Perché uso il condizionale? Perché accade spesso che gli editori sfruttino gli scrittori e non solo. La polemica che lo scrittore britannico Hari Kunzru scatenò con la casa editrice milanese ISBN per insolvenza nei confronti della moglie Katie Kitamura, scrittrice anche lei, della quale avevano pubblicato un romanzo un anno prima senza pagarlo, fece emergere, nel 2015, il problema degli scrittori e, soprattutto, dei traduttori, che in Italia più che altrove non vengono pagati o vengono sottopagati. Nella nostra penisola questo problema ha assunto dimensioni tali da coinvolgere anche i giornalisti, come dimostrò un’altra inchiesta sempre di Report, evidenziando come il ruolo di tutela e garanzia, che un editore dovrebbe assumere, non solo non viene sempre svolto come dovrebbe, ma addirittura si trasforma in sfruttamento delle opere. Ma il discorso non riguarda solo l’editoria, infatti si può tranquillamente ampliare alla musica e ad altre arti.

La legislazione italiana inerente i copyright è abbastanza complessa, le leggi di riferimento sono la nr.633 del 1941, ovviamente aggiornata, e la convenzione di Berna del 1986; ma va ricordato anche l’art.4 della nostra Costituzione, che prevede il dovere, da parte di tutti, di contribuire al progresso materiale o spirituale della società. Quindi chiudo questo articolo riproponendovi la domanda con cui sono partito: siete ancora convinti che il copyright vada sempre e comunque rispettato?

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