La MR Editori di Aversa dà alle stampe volumi alternativi, lontani da voghe e mode letterarie; scelte di campo che a volte spiazzano, ma portano sempre sul parterre letterario testi significativi che raccontano il bello, e lasciano il segno. È sulla scorta di tali dettami che nasce “I canti di Giacomo Leopardi” tradotti in napoletano dal giovane autore Antonino d’Esposito, al suo secondo lavoro dopo “Diciassette diciassette”, una raccolta di versi. Nato a Piano di Sorrento (Na), classe 1988, Antonino si è laureato in ‘Mediazione Linguistica e Culturale’ con una tesi in letteratura araba sullo scrittore siriano Ğūr ğ Sălim; tradurre e rendere l’afflato di un’opera è per lui, quindi, ‘mestiere delle armi’. Ma perché intraprendere questo erto viaggio? Cosa può dare una traduzione ad un’opera già tanto letta e conosciuta? È lo stesso autore a risponderci. «La ragione che ritengo più importante si chiama memoria» chiosa Antonino. «La parola scritta può vincere i vincoli temporali della condizione umana … avverto con urgenza il bisogno di consegnare alla carta, la lingua della mia terra affinché questa non scompaia». Ed è allora che la traduzione di Antonino d’Esposito diventa manifesto, e codice, soprattutto per vedere in azione il napoletano scritto, croce e delizia di quanti a orecchio cercano di coglierne la musicalità e i misteri ortografici smarriti tra un accento e un’aferesi. Traduzione colta, che ha alle spalle una lunga tradizione. Nei canti, che compongono quest’opera, la memoria, appunto, e la parola diventano i testimoni di un connubio che finisce, ovviamente, con l’includere i luoghi. Il simbolo più evidente di questo riuscitissimo sodalizio è l’emblema stesso della città, l’indomito Vesuvio, che unito alla coriacea ginestra parla finalmente “napolitano”. Il legame tra Giacomo Leopardi e la città del sole è consolidato, ma pieno di conflitti e incomprensioni. Leopardi trascorse più di tre anni all’ombra del Vesuvio. Dopo l’iniziale entusiasmo dovuto alle rosee prospettive lavorative – Napoli, ricordiamolo, era la quarta città d’Europa per numero di abitanti; un crogiuolo culturale – nonché di salute – il clima mite e salubre, – la complessità della capitale borbonica, il carattere espansivo dei suoi abitanti, ai limiti dell’invadenza, sono motivo di interesse e di cruccio per Leopardi, giunto al tramonto della sua vita. Il suo aspetto dimesso e l’abbigliamento modesto lo rendono ‘insignificante’ agli occhi del popolino, che addirittura, vedendolo gobbo, gli chiede anche i numeri al Lotto. Giacomo Leopardi sembra abbia più volte, sportivamente, fornito pronostici; che questi abbiano portato vincite, non è dato sapere. Resta il suo contributo, adesso disponibile anche in napoletano grazie alla MR Editori e ad Antonino d’Esposito, che è considerato un patrimonio identitario e culturale senza confini di tempo, spazio e lingua.

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