Il mosaico di Alessandro Magno, 100 a.C. ca. – Museo Archeologico Nazionale di Napoli – Foto: Giorgio Manusakis

Il ‘Mosaico di Alessandro’ rappresenta indubbiamente una delle opere simbolo del MANN, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, in tutto il mondo. 

La pregevole opera fu rinvenuta a Pompei il 24 ottobre 1831, all’interno della Casa del Fauno, una grandissima domus che fu così chiamata dagli scopritori in virtù di una statuetta raffigurante uno dei tipici personaggi afferenti al contesto sacro di Dioniso e collocata al centro dell’impluvium, la vasca dell’atrio in cui solitamente veniva raccolta l’acqua piovana.

Il ‘Mosaico di Alessandro’ era posizionato al centro del pavimento di un ambiente interno alla fastosa villa urbana, la cui funzione appare tuttora incerta ma che inizialmente era stato identificato dagli scopritori come sala da lettura. Quel che è certo è che la stanza in questione, nella quale oggi si può apprezzare una copia moderna dell’opera, aveva una notevole visibilità in quanto situata in mezzo a due giardini con porticati.

Le peculiarità dell’opera

Due furono sicuramente gli aspetti che lasciarono esterrefatti gli archeologi al momento della scoperta del celebre mosaico. In primis, le dimensioni ragguardevoli, pari a 582×313 cm, tali da coprire buona parte del pavimento della stanza in cui si trovava. In secondo luogo, la narratività del tema rappresentato. Molto spesso, infatti, gli emblemata, ossia i quadretti che solitamente abbellivano ville e domus, erano formati da semplici motivi ornamentali da ‘natura morta’, come piante, fiori, animali marini e terrestri.

Nel caso del ‘Mosaico di Alessandro’, invece, il tema scelto dall’autore è la rappresentazione di due schieramenti militari in contrapposizione. A sinistra, si nota il profilo a cavallo di un condottiero, che fu identificato sin da subito per i suoi lineamenti con il celebre Alessandro Magno. Il Macedone, in groppa al suo Bucefalo, indossa una corazza decorata con l’effige di Medusa e tradisce in volto l’intensità dello sforzo prodotto per trafiggere con una lancia il corpo di un nemico.

Sul lato destro del mosaico, invece, in mezzo ad un gruppo di soldati, emerge un altro condottiero, identificato con il re di Persia, Dario III. Il sovrano orientale, posto in piedi su un carro, appare terrorizzato dall’attacco dei nemici e con il braccio destro teso in avanti sembra voglia ordinare ai suoi soldati una disperata ritirata.

Particolare di Alessandro Magno – Museo Archeologico Nazionale di Napoli – Foto: Giorgio Manusakis

L’ipotesi di una copia pompeiana di un quadro greco

Sin dal momento della sua scoperta storici ed archeologi hanno cercato di risalire al preciso episodio al quale fa riferimento il mosaico della Casa del Fauno. Furono varie, infatti, le battaglie in cui si scontrarono i Macedoni di Alessandro e i Persiani di Dario III. Le tre più importanti, ricordate dalla storiografia antica, furono combattute tra il Vicino ed il Medio Oriente: la prima, presso il fiume Granico, nel 334 a.C.; la seconda, ad Isso, nel 333 a.C.; l’ultima, a Gaugamela, nel 331 a.C.

Se tra gli anni Novanta ed i primi del nuovo millennio ha trovato ampio consenso la tesi di un’identificazione con lo scontro di Isso, sostenuta, tra i vari studiosi, anche dall’allora Soprintendente ai beni archeologici di Napoli e Caserta, Stefano De Caro, attualmente, invece, i curatori della mostra del Mann, Filippo Coarelli ed Eugenio Lo Sardo, ritengono che nel mosaico pompeiano vi sia una rappresentazione della battaglia di Gaugamela, la cui vittoria spiana al condottiero macedone la strada verso il centro dell’impero persiano.

Mosaico di Alessandro Magno, il dipinto. – Museo Archeologico Nazionale di Napoli – Foto: Giorgio Manusakis

Nel quadro generale delle varie ipotesi elaborate sino ad oggi, un dato appare quantomeno certo, ossia che doveva trattarsi di una battaglia svoltasi in un paesaggio abbastanza arido a cui rimanda suggestivamente un alberello spoglio nella parte sinistra dell’opera. Commissionato dallo stesso proprietario che finanziò gli imponenti lavori di ampliamento della Casa del Fauno e che doveva appartenere sicuramente all’aristocrazia della Pompei sannitica di fine II secolo a.C., il Mosaico è ritenuto la copia di un antico quadro greco purtroppo andato perduto. Secondo la teoria proposta dall’ex Soprintendente De Caro, l’autore di tale capolavoro, risalente alla fine del IV secolo a.C., andrebbe identificato con un certo Filosseno di Eretria. A giudizio, invece, di Coarelli e Lo Sardo, l’opera della Casa del Fauno sarebbe la replica di un originale eseguito dal celeberrimo Apelle, il quale, secondo la tradizione letteraria, fu l’unico pittore ad avere avuto l’onore di immortalare il grande condottiero (tra gli scultori, invece, solo Lisippo avrebbe avuto una simile fortuna). A tal proposito, a livello compositivo, una delle caratteristiche di questo grande artista, secondo quanto riferisce Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia, era di celare i difetti fisici dei personaggi ritratti. In quest’ottica, il Mosaico pompeiano, tenendo presente alcuni dettagli che qui connotano il Macedone, come gli occhi particolarmente grandi ed il naso adunco e pronunciato, sembra un po’ venire meno a questa regola ‘apelliana’.

L’assoluta straordinarietà di questo manufatto da Pompei può essere colta, inoltre, nella sua raffinata tecnica di esecuzione, corrispondente all’opus vermiculatum. Sviluppatasi nel corso del II secolo a.C. in Egitto, la sua applicazione consiste nell’uso di tessere piccolissime che talvolta venivano disposte in modo asimmetrico dagli artigiani esecutori per definire al meglio le immagini rappresentate. Nel caso del Mosaico pompeiano, ciascuna di esse ha forma quadrata e misura meno di due millimetri per lato. Inoltre, ciò che appare incredibile è come una tale meraviglia sia stata ottenuta utilizzando solamente 4 colori di base, ovvero il bianco, il nero, il rosso ed il giallo.

Particolare di Dario. – Museo Archeologico Nazionale di Napoli – Foto: Giorgio Manusakis

La necessità di un restauro dell’opera

Trasportato nel novembre 1843 in quello che all’epoca era chiamato Reale Museo Borbonico, il Mosaico di Alessandro fu qui sistemato inizialmente al pianterreno, in una delle sale del lato occidentale. Soltanto nel 1916 avvenne lo spostamento nella stanza del piano ammezzato dove tuttora è in esposizione.

L’opera, attualmente, è oggetto di un delicato lavoro di restauro. Iniziato nel marzo 2021, tale intervento, in cui sono coinvolti, oltre alla direzione del Mann, anche alcuni enti come l’ICR (Istituto Centrale per il Restauro presso il Ministero della Cultura) e l’Università di Napoli Federico IIsi è reso necessario in virtù del peggioramento delle condizioni conservative del manufatto. Tra le degradazioni riscontrate è emerso un diffuso distacco delle tessere e della relativa malta di allettamento nonché un’evidente depressione della superficie musiva nella sua zona centrale, accompagnata da lesioni e fessurazioni che interessano anche alcuni punti del perimetro. Ad un’iniziale azione di messa in sicurezza sta facendo seguito, in questi ultimi mesi, uno speciale intervento sugli antichi strati di preparazione che ha richiesto il ribaltamento in orizzontale dell’opera. Seppur ben circoscritto e inaccessibile ai non addetti ai lavori, il cantiere di restauro in situ del Mosaico di Alessandro può essere visualizzato e seguito sia dai visitatori del Mann che dagli utenti della rete collegandosi al sito internet del museo partenopeo.

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