Trama

A vent’anni dalla fuga in America, Anguilla, il soprannome con cui conosciamo il protagonista di questo romanzo del 1950, torna nel paese delle Langhe in cui è nato. Abbandonato subito dopo la nascita, è stato adottato in cambio di una mesata di poche lire da Padrino e Virgilia, la cui morte segnerà la fine del casotto in cui vive l’infanzia e il passaggio al casale della Mora, di proprietà del sor Matteo.

Convinto che la vita sia altro rispetto alle mortificazioni subite in famiglia e nel lavoro, parte per l’America dove scopre un mondo nuovo, privo di radici per i propri figli, la cui identità è fragile al punto da renderli capaci di uccidere il prossimo, che non è riconosciuto come fratello. Dopo aver capito che “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”, Anguilla, ora quarantenne, torna nei luoghi dell’infanzia per ridefinire la propria identità e fare un bilancio della propria vita. A fargli da guida in un girone dantesco animato dal ricordo di persone, il cui destino è tragicamente segnato dalla povertà e dal secondo conflitto mondiale, è Nuto, il suo alter ego: l’amico d’infanzia è talmente radicato nella terra e nella casa in cui è nato da esservi rimasto, da combattente, perché solo così ha saputo delineare i contorni dell’identità, propria e altrui. “Cosa credi? La luna c’è per tutti, come le piogge e le malattie. Hanno un bel vivere in un buco o in un palazzo: il sangue è rosso dappertutto”, dice ad Anguilla, prima di rivivere con lui l’orrore della guerra civile contro i nazifascisti. Alle vicende belliche è legata la breve esistenza di Santina, la terza figlia del sor Matteo, nonché la più bella e ribelle delle tre. A differenza delle sorellastre Irene e Silvia, incapaci di governare gli uomini e la casa, Santina cerca la salvezza per sé e per le persone con cui è cresciuta. Dimostra maggior tenacia ma minor coerenza del partigiano Nuto, unico sopravvissuto alle atrocità della guerra, di cui testimonia le vendette di entrambe le parti. A lui Anguilla, prima di ripartire per Genova, affida Cinto, il figlio del nuovo padrone del casotto, da quest’ultimo reso orfano dopo anni di vessazioni e umiliazioni per una menomazione fisica.

Le persone di un tempo non ci sono più, ma la vita si ripete con le sue ingiustizie, come la luna e i falò, un tempo accesi dai contadini nelle sere di festa, più di recente appiccati per distruggere il ricordo di un passato racchiuso nelle mura di un casotto o nel corpo di una donna che fa ancora gola a troppi.

Perché leggerlo

La mestizia con cui l’autore rievoca la propria crescita tra i vigneti e i campi coltivati sulle colline delle Langhe rapisce al punto che la vera attesa non è tanto per il finale quanto per il ricordo che porta Nuto a svelare, evento dopo evento, il destino di chi è restato a Canelli, o Anguilla a rievocare episodi del passato che danno un senso compiuto al viaggio iniziato due decenni prima. Con Anguilla mettiamo piede in un mondo che sembra non cambi mai per suoni, sapori e colori, eppure non è indifferente al tempo che passa, portando con sé eventi che travolgono le storie individuali.

Durante la guerra, il senso di familiarità spinge alcuni personaggi a sentire l’altro come un proprio fratello, così da indurli a cercare di superare i propri limiti, soprattutto quelli nati dalla paura. La rabbia, unita alla smania di tornare, spinge Anguilla a fuggire in America, da dove ritorna più consapevole di chi è e di cosa possa essere un paese: un luogo del cuore. Per difendere questo posto, Nuto sceglie di combattere da partigiano, traducendo in azione il senso di giustizia che lo anima sin dall’infanzia. Viene salvato, assieme ad altri, da Santina che, pur essendosi schierata con i fascisti, si spinge oltre ogni limite per seguire la legge del cuore invece che quella del regime o della fazione politica di appartenenza. La paura non blocca neppure Cinto, che riesce a mettersi in salvo dalla furia paterna che devasta la casa e il resto della sua famiglia.

E noi siamo capaci di andare oltre i nostri limiti per sanare un’ingiustizia oppure per difendere un luogo dell’anima o un fratello?

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