Foto: Giorgio Manusakis

Trama

All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, a Torre Canne, in Puglia, Giordano Ricci smina i campi per evitare che si ripeta la storia di Maria, una bimba esplosa mentre attraversava un campo di meloni in sella alla sua bici.

Vive nella masseria di famiglia assieme alle sorelle di suo padre, Eugenia e Suntina, che lo aiutano a gestire una fabbrica di confetti. In paese tutti lo ritengono un po’ matto: si sa che anni prima, a Bari, è stato curato “con le scosse” e che le sue “malinconie” non sono mai passate, motivo per cui non si è mai sposato. Negli stessi giorni, a Bologna, una città ferita atrocemente dai bombardamenti, si vive un equilibrio vacillante nel quale si muovono con scaltrezza i cinici che ambiscono a raggiungere il vertice sociale. Uno di questi è Nino Ricci, figlio del fratello di Giordano, Edgardo, morto in un bombardamento pochi giorni prima della liberazione della città. Nino e la madre, Liliana Vespero, vivono come sfollati in una chiesa, che presto sarà riconsacrata. Per sfamare se stessa e il figlio, un arrivista senza arte né parte, Liliana sta con un uomo che le piace molto poco. I loro destini si riannodano quando Liliana scrive una lettera a Giordano, che, senza prestare ascolto alle zie, le risponde scrivendo una “lettera d’amore” per invitarla alla masseria, tanto grande da poter ospitare sia lei che il figlio. Dopo pochi giorni, i due riescono ad arrivare a Torre Canne, dove Giordano ha preparato una cena per chiederle di restare, lasciando intendere che la sua richiesta è per sempre, se a Bologna non c’è nessuno ad attenderla. Per una sua ripartenza si prodigano, invece, zia Eugenia e zia Suntina, perché ritengono la donna foriera di sventure per la loro famiglia, visto che aveva sposato Edgardo dopo essere rimasta incinta di lui. Tutto sembra andare in questa direzione, ma un guasto dell’auto e la generosità di Giordano, innamorato di Liliana sin dalla giovane età, fanno tornare madre e figlio alla masseria, dove lei potrà ragionare sulla possibilità di sposarlo. Giordano convince un avvocato, suo conoscente, ad assumere Nino nel suo studio, ma il nipote combinerà altre magagne mettendo a repentaglio il quieto vivere costruito in cambio di concessioni economiche e favori di vario genere.

Una vita nuova, inattesa, è pronta a nascere dalla generosità di Giordano, un uomo talmente matto da essere capace di amare senza pretendere alcunché in cambio e di perdonare senza che gli venga chiesto nulla.

Perché leggerlo

La lettura è molto piacevole per la prosa semplice e per la trama lineare. In ciò, la struttura del racconto rispecchia la natura del suo protagonista, un uomo candido e buono: Giordano è incapace di fare il doppio gioco oppure di ricambiare con la stessa moneta i compaesani che lo prendono per matto o le zie che vorrebbero controllarlo. È un eroe anomalo che sembra vincere le brutture della guerra, vero frutto della stupidità umana, e per questo merita di essere conosciuto dal lettore, anche da quello che crede di aver letto ogni sorta di trama e di aver conosciuto i personaggi più stralunati.

La povertà, spirituale prima ancora che materiale, emerge nelle azioni di tutti gli altri personaggi. La maestria narrativa di Pupi Avati è tale da farci avvertire la povertà altrui un po’ come nostra. In questo scorcio della provincia italiana del Novecento, infatti, ci sono affaristi e disperati pronti a tutto per ostentare il proprio benessere o per sopravvivere alle altrui angherie. Eppure la dignità con cui ciascun personaggio è delineato non permette al lettore di provare l’istinto di chi prende la pietra per scagliarla contro l’altro.

Ci sentiamo semplicemente piccoli davanti alla follia di persone come Giordano, che hanno scritto le pagine più belle della storia d’Italia, onorando la memoria di chi ha fatto una gran luce rischiando, poi, di finire nell’oblio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *