Ulisse e Penelope (450 a.C. ca.) – Parigi, Museo del Louvre – Foto: Giorgio Manusakis
La vendetta di Odisseo
Dopo le varie storie sulla sua ‘ingannevole’ nascita e dopo aver spiegato l’origine del suo nome, torniamo più propriamente alle bugie di Ulisse. Ce n’è una curiosa: avrete sicuramente sentito qualche volta il detto “fare il pazzo per non andare in guerra”. Ulisse fu, con ogni probabilità, il primo a metterlo in pratica o, almeno, a provarci. Un oracolo gli aveva predetto: “Se andrai a Troia, tornerai dopo vent’anni, solo e in miseria”. Se a questa nera profezia dell’oracolo aggiungiamo che da poco era diventato padre di Telemaco, appare ancora più comprensibile il motivo per cui Ulisse non avesse alcuna voglia di andare a combattere a Troia insieme agli altri re greci. Ecco perché, quando vide arrivare a Itaca Agamennone, Menelao e Palamede, giunti lì apposta per portarlo con loro a Troia, si mise un cappello da contadino in testa e iniziò ad arare un campo mettendo insieme un bue e un asino e gettando all’indietro manciate di sale. Inoltre, per rendere ancora più credibile la sua follia, finse di non riconoscere gli amici. Inutile dire che in questa sceneggiata era spalleggiato dall’altrettanto furba consorte. Ma, sfortunatamente per lui, Palamede intuì l’inganno: strappò dalle braccia di Penelope il piccolo Telemaco e lo appoggiò a terra proprio davanti al bue e all’asino. Ovviamente, Ulisse tirò immediatamente le redini per fermare i due animali e non uccidere il suo unico figlio, dimostrando così di non essere affatto pazzo e partendo inevitabilmente per Troia. Ma il vendicativo eroe non dimenticò il danno ricevuto dall’intuizione di Palamede. Quest’ultimo, inoltre, ferì per una seconda volta l’orgoglio di Ulisse durante l’assedio di Troia. Quando l’eroe di Itaca, su ordine di Agamennone, si recò in Tracia alla ricerca di provviste, ne rientrò a mani vuote e, al rimprovero di Palamede, rispose che lui non avrebbe fatto meglio. Questi invece partì e rientrò con una nave carica di provviste, dando così un brutto colpo all’amor proprio di Ulisse che si vendicò sotto le mura di Troia e proprio con un altro dei suoi famosi inganni. Passati alcuni giorni, infatti, il figlio di Laerte (o di Sisifo?) fece pervenire un messaggio ad Agamennone, comandante dell’intera spedizione, dicendo di aver avuto un sogno in cui gli dèi avvisavano i Greci che c’era un traditore tra loro e che perciò bisognava spostare l’accampamento per un giorno ed una notte. A questo punto Ulisse attese che Agamennone desse disposizioni di spostare l’accampamento e, di nascosto, seppellì un sacco d’oro dove prima c’era la tenda di Palamede. Inoltre costrinse un prigioniero frigio a falsificare una lettera come se fosse stata scritta da Priamo, re dei Troiani, a Palamede; nella lettera era scritto: “l’oro che ti ho mandato è il prezzo da te richiesto per tradire i Greci.” Quindi, per completare il suo astuto piano di vendetta, ordinò al prigioniero di consegnare la lettera a Palamede, ma lo uccise al confine dell’accampamento greco, prima che questi potesse consegnarla. Il giorno dopo, quando l’accampamento greco fu riportato dov’era in precedenza, il corpo del prigioniero con la lettera fu ritrovato e il presunto traditore fu condotto davanti alla corte marziale; ovviamente, Palamede negò l’accaduto e lo fece con tanto vigore e disperazione che qualcuno iniziò a credergli. Ulisse, a questo punto, suggerì di perquisire la tenda dell’accusato dove venne ritrovato l’oro da lui stesso messo in precedenza. Palamede, viste le false prove sparse da Ulisse, venne condannato a morte per tradimento e, prima di essere lapidato, gridò forte: “O verità, io piango la tua morte che ha preceduto la mia” ed è con queste parole che è ricordato dalla storia come il primo caso celebre di ‘malfunzionamento’ della giustizia. Per amore di verità bisogna dire che ci sono altre versioni del mito secondo cui Ulisse in questo complotto fu spalleggiato da Diomede e Agamennone; un’altra ancora dice che Ulisse e Diomede calarono Palamede in un pozzo col pretesto che ci fosse un tesoro e poi gli lanciarono grosse pietre spaccandogli il cranio o, ancora, che i due lo avessero annegato durante una battuta di pesca. Ma c’è anche una versione del mito che vede Palamede morire per una freccia scagliata da Paride.
Nella prossima puntata faremo un salto indietro nel tempo per leggere le astuzie che Ulisse mise in atto durante le preparazioni della partenza per Troia.
Elena – Affresco di epoca imperiale rinvenuto a Pompei, Casa del poeta tragico – Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) – Foto: Giorgio Manusakis