Trama

Pereira è un uomo anziano, grasso e cardiopatico, vedovo da alcuni anni dell’amata moglie, alla quale parla ogni volta che sente il bisogno di una presenza cara a cui confidare dubbi e paure.

Per trent’anni ha lavorato come giornalista di cronaca nera, ma ora trascorre le giornate traducendo libri di scrittori francesi dell’Ottocento per il Lisboa, un giornale apolitico del quale cura la pagina culturale. Pereira, a detta del suo confessore, padre Antonio, non fa altro che pensare alla morte ed è convinto che il mondo sia morto o che sia in procinto di morire. Forse anche per questo ha un atteggiamento indifferente verso la vita, ma sicuramente questo lo spinge a leggere con interesse un estratto di una tesi di filosofia pubblicato da una rivista letteraria d’avanguardia. L’autore dell’elaborato che colpisce la coscienza di Pereira si chiama Francesco Monteiro Rossi e ha scritto che il rapporto tra vita e morte è quello che caratterizza maggiormente il senso del nostro essere e che ci permette di valutare l’esistenza stessa.

Pereira lo contatta per chiedergli di collaborare col Lisboa scrivendo degli articoli che ricordino personaggi illustri da poco scomparsi. Scopre ben presto, però, che il giovane non è un filosofo bensì un attivista politico contrario alla dittatura fascista di Antonio de Oliveira de Salazar, che con il suo Partito Unico guida il paese già da qualche anno. Siamo nel Portogallo del luglio 1938, al tempo in cui la penisola iberica è tormentata anche della guerra civile spagnola che contrappone i repubblicani ai nazionalisti sostenitori del dittatore Francisco Franco. Monteiro Rossi è fidanzato con una coetanea, Marta, più ribelle di lui. I due giovani sembrano complici e idealisti, solidali con coloro che sono oppressi dalle restrizioni imposte dal regime dittatoriale. Una di queste è la censura, motivo per cui gli scritti di Monteiro Rossi non vengono mandati in stampa da Pereira, che però li paga per sostenere il giovane essendo privo di una vera entrata economica.

Anche il dottor Cardoso, direttore della clinica talassoterapica a cui Pereira si affida per tenere sotto controllo la cardiopatia e l’obesità, gli confida di sentire la pesantezza del clima di oppressione a cui la dittatura salazarista ha dato vita. Il medico lo invita a riflettere sul fatto che l’inquietudine che prova da quando conosce Monteiro Rossi e la fidanzata Marta potrebbe essere dovuta a un’evoluzione della sua coscienza: per il dottor Cardoso, che si rifà alla teoria di psicologi francesi, ciascuno di noi non ha una sola anima ma una confederazione di anime dominate da una che, nell’arco della vita, può cambiare. Così, oggi l’io egemone che conduce Pereira ad agire potrebbe non essere più quello che lo ha guidato finora: ecco perché improvvisamente si sente a disagio nella realtà ovattata fatta del ricordo della compianta moglie e delle traduzioni degli amati autori ottocenteschi.

Il risveglio della coscienza spinge Pereira a mangiare altro dalla solita omelette e a bere qualcosa di diverso dalla quotidiana limonata, poi lo conduce a una costante e crescente presa di responsabilità, fino all’atto estremo di pubblicare a proprio nome un articolo che si fa beffe della censura e riscatta la memoria della prossima vittima della violenza del totalitarismo, giunta fin dentro casa sua.

Perché leggerlo

         Questo libro, dato per la prima volta alle stampe nel 1994, fotografa la vita ai tempi dei regimi dittatoriali nell’Europa della prima metà del Novecento. Nello specifico, accende una luce sul potere autoritario in un Paese che occupa poco spazio nei libri di storia.

Il punto di vista con cui possiamo guardare al Portogallo e, di riflesso, alla penisola iberica, di fine anni Trenta, è quello di Pereira, a cui è attribuita la narrazione di come si è giunti all’epilogo. Pereira è un testimone che finisce col diventare attore, perché mostra una maturazione, un percorso di crescita che lo porta dall’accettazione apatica della realtà alla presa di coscienza e di responsabilità attraverso l’azione. Pereira passa dalla traduzione di testi di scrittori ottocenteschi alla pubblicazione di una denuncia dell’opprimente e nefasta violenza del totalitarismo. La sua metamorfosi è sofferta, perché è fatta di dubbi e insoddisfazione, di doppiezza e sensi di colpa, di nostalgia e cambiamento. Sa che tutta l’Europa puzza di morte e che nel suo Paese la polizia uccide impunemente. Non si ribella eroicamente per essere d’esempio o per scalfire quel monolite che è il partito totalitario e opprimente. Quando sente di dover raccontare la verità per denunciare la morte violenta e crudele di un giovane amico, ucciso in casa sua da uomini in abiti civili armati di pistole e manganelli, non è animato da ideali ma dal desiderio di riscatto, per l’amico e per sé.  

La lettura è intrigante perché la narrazione sembra quella di una deposizione, che rende noi lettori osservatori diretti di fatti svelati senza troppa enfasi ma con crescente trasporto per la comprensione di quell’enigma mutevole che è la realtà. Gli stessi esseri umani, che la fanno, sono in continuo cambiamento: molto dipende dall’io dominante che emerge nella coscienza collettiva come in quella individuale. Sarebbe utile capirlo per passare dal ruolo di spettatori apatici a quello di attori consapevoli.

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