Un momento del convegno – Foto: Angelo Zito

Parthenope e Neapolis. Nuovi dati e prospettive di ricerca è stato il tema scelto dall’ISAMG (Istituto per la Storia e l’Archeologia della Magna Grecia) per la 62esima edizione del Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia.

Le relazioni degli studiosi partecipanti, svoltesi dal 28 settembre al 1 ottobre 2023 a Taranto presso l’ex Convento di S. Francesco, sede dell’Università di Bari, ed il Castello Aragonese, hanno trattato diverse questioni di natura storica ed archeologica, alcune delle quali già emerse nell’edizione del 1985 della rassegna e riaffrontate alla luce dei dati provenienti dagli scavi per la realizzazione delle nuove stazioni della metropolitana.

Un breve quadro storico da Partenope a Neapolis

Secondo la tradizione storiografica facente capo agli scrittori Lutazio e Strabone, il primo nucleo insediativo di Napoli andrebbe identificato nell’epineion di Partenope, scalo mercantile fondato da Cuma già entro la fine dell’VIII secolo a.C. e collocabile tra la collina di Pizzofalcone e l’isolotto di Megaride su cui sorge il Castel dell’Ovo. Il successivo polo abitativo, chiamato Neapolis, secondo i suddetti autori ed altri come Livio e Velleio Patercolo, sarebbe stato realizzato anch’esso dai Cumani al di sopra di un pianoro tufaceo situato ad est rispetto al precedente insediamento, che dunque avrebbe ricevuto il nuovo appellativo di Palepoli (città antica). Tale evento, in virtù di alcune scoperte effettuate tra gli anni Novanta ed i primi anni Duemila, dai frammenti ceramici scoperti nel riempimento delle mura lungo vico Sopramuro a Forcella ai materiali emersi sull’altura di S. Aniello a Caponapoli, corrispondente all’antica acropoli cittadina (su tutti una testina votiva femminile del 530 a.C.), va collocato verso la fine del VI secolo a.C. A partire da questa soglia cronologica entrambi gli abitati vanno considerati come parti di un’unica polis che, nonostante l’influenza dei Campani, ovvero i Sanniti che nell’ultimo quarto del V secolo a.C. conquistano le vicine Capua e Cuma, ed il controllo politico dei Romani dal 326 a.C., riesce a mantenere, nel corso del tempo, una propria autonomia istituzionale e culturale. 

Gli scavi della metropolitana: il contesto di Piazza S. Maria degli Angeli

Nel convegno di Taranto sono stati illustrati i risultati, già in buona parte pubblicati negli ultimi anni, relativi agli scavi per la costruzione delle nuove stazioni della metropolitana di Napoli. Le testimonianze emerse durante i lavori per il tracciato della linea 6 a Piazza S. Maria degli Angeli, nel quartiere di Pizzofalcone, sembrano qui confermare la tradizionale collocazione dell’epineion di Partenope. Trattasi di cospicui materiali recuperati da uno scarico di epoca vicereale (fine XV secolo-inizi XVI secolo), perlopiù frammentari e in giacitura secondaria, cioè scoperti fuori dal loro contesto originario. Tra i reperti ceramici spicca, in particolare, una coppa arcaica in bucchero, simile a modelli etruschi ma recante un’iscrizione in alfabeto euboico, lo stesso adottato dalla madrepatria Cuma. Le recenti scoperte di Piazza S. Maria degli Angeli, illustrate nel convegno dal prof. Matteo D’Acunto, sostengono ed integrano un quadro documentario preesistente, formato dai materiali di fine VIII-inizi VII secolo a.C. del cosiddetto scarico del Chiatamone e da quelli databili tra il 650 ed il 550-525 a.C. (aryballoi corinzi e ceramica italo-geometrica) ed afferenti alla necropoli di via Nicotera, rinvenuta negli anni Quaranta del secolo scorso. 

Gli scavi nel cantiere della metropolitana in piazza Municipio – Foto: Angelo Zito

La stazione Municipio e l’antico porto

Gli scavi eseguiti a cavallo tra gli anni Novanta ed il nuovo secolo presso Piazza Municipio, nell’ambito della costruzione dell’omonima stazione della linea 1, hanno permesso di riscontrare un’intensa stratificazione antropica riferibile alla vita di entrambi i nuclei di Partenope e Neapolis. Le prime tracce di frequentazione, secondo quanto affermato nel convegno dalla dott.ssa Vittoria Carsana, risalgono alla seconda metà dell’VIII secolo a.C., con attestazioni di skyphoi di tipo euboico, a cui seguono, nel VII secolo, prodotti da Corinto, Pithecusa e di fattura italo-geometrica e, nel VI secolo, buccheri e coppe ioniche simili, come tipologia, ai modelli coevi di Cuma. Nel III secolo a.C. sono meglio documentabili nel sito strutture a carattere portuale. Oltre a muri di contenimento, che dovevano risalire verso i pendii collinari alle spalle dell’attuale piazza, le indagini hanno riportato alla luce una rampa, funzionale all’attracco delle imbarcazioni, ed una serie di strati con materiali relativi ad interventi di dragaggio dei fondali. Momento fondamentale per la totale riconfigurazione dell’area in questione è l’età augustea, durante la quale vengono realizzati un molo in opus coementicium, una banchina ed un segmento della via per cryptam, strada che collegava Napoli con Pozzuoli ed i Campi Flegrei. Interessato nelle sue immediate vicinanze, al passaggio dal I al II secolo d.C., dalla presenza di impianti termali, il porto neapolitano subisce un progressivo insabbiamento che determina, come conseguenza, in epoca tardo-antica lo spostamento della sua sede verso l’attuale Piazza Bovio. Tra le più sensazionali testimonianze rinvenute con gli scavi, si ricordano 7 relitti di navi affondate oppure abbandonate qui volutamente in un arco esteso tra la fine del II secolo a.C. e la fine del II secolo d.C. In particolare, degne di menzione sono alcune imbarcazioni riconducibili alle tipologie del rimorchiatore e dell’horeia, quest’ultima documentata solamente a Tolone, in Francia, e ad Ostia presso il sito di Isola Sacra.

Gli scavi in Piazza Nicola Amore per la stazione Duomo

Per quanto concerne Piazza Nicola Amore, area urbana interessata dalla costruzione della stazione Duomo della linea 1, sono emerse tracce di frequentazione antropica sin dall’età protostorica, con un’intensificazione nella seconda metà del VI secolo a.C. In questo orizzonte cronologico, infatti, si inseriscono alcune terrecotte architettoniche, come sime frontonali ed antefisse, che, per quanto trovate in giacitura secondaria, testimoniano la presenza in zona di un edificio sacro. Solo nel IV secolo a.C., secondo quanto ha riferito nel convegno la dott.ssa Daniela Giampaola, archeologa e funzionaria che da anni opera nel territorio napoletano, è possibile documentare un vero e proprio complesso religioso, formato da due edifici, un ambulacro orientato verso il litorale ed una fornace. Al di là di una breve parentesi, limitata al III secolo a.C., in cui sembrano emergere strutture artigianali, la destinazione cultuale di tale zona urbana è attestabile anche nell’epoca tardo-ellenistica. Agli inizi del I secolo d.C., con l’istituzione degli Italikà Romaia Sebastà Isolympia, giochi pubblici in onore del princeps Ottaviano Augusto, l’area di Piazza Nicola Amore avrebbe visto sorgere un tempio a podio decorato da mosaici pavimentali, identificabile con il Kaisareion, tempio dedicato al culto imperiale, menzionato in un’epigrafe rinvenuta ad Olimpia. Tale edificio sarebbe stato ristrutturato nel corso della seconda metà del II secolo d.C. insieme al vicino ginnasio in cui erano custodite le lastre contenenti i nomi dei vincitori delle gare previste dal concorso, che riguardavano gli ambiti atletico, musicale e poetico. Dall’analisi epigrafica di questi cataloghi è risultato come i partecipanti a tali competizioni, ispirate al modello dei giochi olimpici anche nella periodicità quadriennale, giungessero da varie regioni del mondo antico ed in particolare dall’Asia e dalla Grecia. Gli agoni, che videro, tra l’altro, la partecipazione di alcuni imperatori sia come gareggianti (è il caso di Claudio e Domiziano) sia come agonoteti (una sorta di giudici, come nel caso di Tito), si tennero sino alle ultime fasi di utilizzo del complesso monumentale, collocabili tra la fine del III e gli inizi del IV secolo d.C.

Vista del cantiere degli scavi in piazza Municipio col Maschio Angioino – Foto: Angelo Zito

Considerazioni sull’urbanistica e sulla radicata identità greca

Ulteriori scavi eseguiti negli ultimi decenni al di fuori del circuito della metropolitana, e nello specifico nel centro antico, sembrano avvalorare, riguardo a Neapolis, la tesi di un impianto urbanistico per strigas, con isolati rettangolari risultanti dagli incroci tra strade principali e strade secondarie. Secondo una suggestiva ipotesi formulata nel convegno tarantino dal prof. Alfonso Mele, nello schema in oggetto si possono cogliere riferimenti a principi e canoni della filosofia pitagorica, come quello di triade, che ricorre nel numero delle divinità protettrici della città (i Dioscuri, Demetra e Partenope) così come in quello delle principali arterie viarie, le plateiai, successivamente obliterate dai decumani di età romana. Fulcro centrale della pianta neapolitana è l’agorà –forum. Il complesso, così come sottolineato in sede di convegno dal prof. Emanuele Greco e dalla dott.ssa Daniela Giampaola, è suddiviso in una pars sacra e monumentale, a nord, in cui si trovano il tempio dei Dioscuri (ancora oggi due colonne sono integrate nella facciata della Chiesa di S. Paolo Maggiore), il teatro e l’odeion, ed una pars commerciale, a sud, il cui perno è rappresentato dal Macellum, obliterato dalla Basilica e dal Convento di San Lorenzo Maggiore.

Nel trarre una sintesi di quanto esposto dagli studiosi partecipanti alle giornate del convegno di Taranto, in attesa della pubblicazione degli Atti da parte dell’ISAMG, si può constatare, riprendendo e condividendo il pensiero della dott.ssa Kathryn Lomas, come Napoli abbia sempre voluto difendere e rivendicare nei secoli la propria identità ellenica. Una scelta, questa, radicata e consapevole, riscontrabile nell’uso continuativo della lingua greca nelle epigrafi pubbliche; nella persistenza, accanto alle classiche magistrature romane, di particolari cariche politiche e religiose (dai demarchoi ai laukelarchoi, questi ultimi paragonabili ai censori); nell’organizzazione del corpo civico in fratrie, tribù documentate sia a Cuma che nelle poleis della Grecia e dell’Asia Minore, ed infine nel culto della sirena Partenope, in onore della quale si teneva una corsa con le fiaccole, la lampadodromia, tanto sentita dalla comunità locale da essere svolta anche in età imperiale ed integrata, probabilmente, nel programma dei Sebastà Isolimpià.

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