Foto: Giorgio Manusakis

Trama

Nel borgo marchigiano di Serra de’ Conti, tra fine Ottocento e inizio Novecento, i destini dei poveri mezzadri si compiono mentre sullo sfondo la Storia avanza con le sue logiche e pretese.

Lupo e Nicola, figli del grezzo fornaio Luigi Ceresa e di sua moglie, la quasi cieca Violante, che li detesta, crescono tra le difficoltà di una terra che oltre alla fatica sembra poter offrire davvero poco. Il figlio meno amato da Violante è Nicola, il più sano ma anche il più timoroso di quelli che non le sono ancora morti. Tanto timoroso da essere ritenuto inutile anche dal padre, che lo immagina buono solo a fare il prete. Don Agostino, prete giunto in paese dal nord Italia, cerca di avvicinare Nicola alla fede, nonostante Lupo non ne sia felice e cerchi di boicottare i suoi tentativi. Lupo va a lavorare per portare a casa i soldi necessari a far studiare Nicola, che ricambia insegnandogli ogni sera ciò che ha imparato. Prima che Adelaide si ammali e muoia, l’altra figlia dei Cerasa, Nella, inaspettatamente entra nel convento di Serra.

Qui c’è suor Clara detta la Moretta, che è venuta al mondo in Sudan col nome di Zari e da bambina è stata rapita, resa schiava e portata con la forza in Libia. Liberata da un missionario cristiano, viene fatta arrivare in Italia, dove decide autonomamente di abbracciare il monachesimo al tempo in cui l’Italia non guardava già più di buon occhio gli ordini religiosi. Suor Clara non abbandonerà mai Dio, al quale sarà sempre grata per averle concesso la salvezza. Nel convento di Serra de’ Conti, diventa organista, cantiniera, sacrestana, infermiera, educatrice delle novizie, addetta ai conti, badessa, ma soprattutto il punto di riferimento dell’intera comunità, che nel frattempo viene scossa dalle idee anarchiche, dalla Settimana Rossa del 1914, dalla Prima Guerra Mondiale, dall’epidemia di Spagnola.

In questo concatenarsi di eventi che sembrano flagelli che colpiscono il popolo, Lupo, divenuto anarchico come suo nonno, aderisce a manifestazioni e scioperi, mentre Nicola, tra una pagina letta e una scritta di suo pugno, lo aspetta a casa. Nel 1911 l’Italia entra in guerra in cerca di ricchezza per i pochi che, essendo al potere, ne hanno deciso la sorte senza combattere per la sua salvezza. Lupo riesce a evitare la guerra grazie all’aiuto di Nicola, che invece, pochi anni dopo, tradito da una persona cara, è costretto a partire per il fronte. Nicola riesce a sopravvivere alle atrocità della guerra, lotta per tornare a Serra e ce la fa: arriva giusto in tempo per seppellire la madre, ammalatasi di Spagnola. Non trova Lupo né tanti altri compaesani, divisi dalla durezza della vita prima che dalla paura dell’epidemia. Ma Lupo, che intanto è stato convinto dall’anarchica Virginia a lasciare l’Italia per l’America, terra ancora feconda su cui spargere i propri ideali, corre dal fratello dopo essere stato informato del suo ritorno dal fronte.  

Ignari di ciò che verrà, del fascismo, dell’America delle sedie elettriche, del dissolversi delle speranze anarchiche e religiose, via via fino, chissà, al giorno del giudizio di Dio, Lupo, Nicola e suor Clara cessano di guardare ai propri fantasmi per riavvolgere il filo rosso che lega le loro esistenze in una terra che sola resta, mentre gli uomini vanno via.  

Perché leggerlo

Consola sapere che dietro alla stesura di un romanzo ci sia della ricerca storiografica. È il caso di Un giorno verrà, pubblicato nel 2019: i personaggi nascono da fonti storiche rilette e rielaborate dalla scrittrice, Giulia Caminito, al suo secondo lavoro letterario.

La vita di Suor Clara è quella dichiaratamente più vicina alla realtà storica, mentre le vicende degli altri personaggi sono verosimili. La vita dura della povera gente è narrata attraverso la disgregazione della famiglia Ceresa nell’Italia di fine Ottocento, unita pochi decenni prima da una élite che all’alba del Novecento la manda in guerra per soddisfare il proprio interesse personale. Sarà forse anche per questo che i personaggi illustri di cui sono pieni i libri di storia rimangono ai margini di questo romanzo. Il punto di vista è sempre quello di chi cerca di affermare la propria identità in una vita mai pienamente scelta né subita, non perché ci sia il riscatto ma perché si lotta nella speranza di diventare artefici del proprio cammino in un mondo che va reso migliore. In quest’ottica la figura dell’anarchico viene fatta emergere mentre quella dei regnanti viene inabissata dall’onda lunga di una Storia che travolge tutto e tutti per poi ritirarsi dalla terra. Almeno fino alla prossima calamità.

Il lavoro di ricerca compiuto dall’autrice non si esaurisce con la costruzione della trama: la forma stilistica tende a qualcosa di nuovo. La metafora è ricorrente al punto da sostituirsi ad alcuni nomi propri, la punteggiatura è ridotta all’essenziale, la parola è cercata con cura.  

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