Uccello bianco e grigio sull’acqua durante il giorno – foto: Tim Mossholder, licenza: Unsplash
Il problema delle isole di plastica negli oceani è noto ormai da anni, tant’è che nel 2010 ha ispirato l’album Plastic Beach della nota band britannica I Gorillaz. Oggi è un fenomeno crescente di cui purtroppo ancora pochi si preoccupano.
In un precedente articolo abbiamo già accennato al fenomeno crescente delle isole di plastica che preoccupa sempre di più la comunità scientifica. Queste “isole”, che in realtà sono veri e propri accumuli di rifiuti galleggianti, in particolare di materiali plastici, sono il risultato di decenni di sversamenti di rifiuti in mare e nei corsi d’acqua. Le correnti oceaniche trasportano i rifiuti di diverse aree del mondo verso queste regioni creando giganteschi ammassi di detriti di ogni genere.
Il più noto di questi accumuli è il Great Pacific Garbage Patch, o Pacific Trash Vortex, situato tra la California e l’arcipelago hawaiano, la cui estensione è stimata essere pari a circa tre volte quella della Francia. Le correnti superficiali del Pacifico, muovendosi in senso orario, hanno raccolto tutti i rifiuti gettati in mare in una sorta di enorme spirale. Il Great Pacific Garbage Trash ha iniziato a formarsi negli anni ’80 del secolo scorso e attualmente le stime sull’effettiva estensione dell’accumulo variano da 700.000 km² fino a più di 10 milioni di km². Nonostante l’accumulo fosse già noto, la sua esistenza fu ufficializzata solo nel 1997, quando il velista Charles Moore si trovò completamente circondato da rifiuti plastici durante una competizione in barca tra le Hawaii e la California. È stato calcolato che circa l’80% della plastica presente in mare proviene da fonti terrestri, sia dalle spiagge che dalle foci dei fiumi, come dalle discariche delle nostre città che, attraverso il sistema fognario e con l’azione perpetua delle piogge, provocano lo sversamento incontrollato di rifiuti nei mari.
Plastica in mare – Foto: Lucia Montanaro
Tuttavia, il problema dei rifiuti galleggianti non si limita solo ad affliggere l’Oceano Pacifico. Ad essere vittima di esso è anche l’Oceano Atlantico, dove è stata riscontrata la presenza di un’isola di plastica estesa per circa 4 milioni di km², la North Atlantic Garbage Patch. Attualmente sono 7 le isole di plastica dislocate negli oceani, per un totale di circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti.
La conseguenza sulla fauna marina è a dir poco devastante: molti animali come tartarughe ed uccelli muoiono a causa dell’ingestione di rifiuti, che può provocare occlusioni e il perforamento dell’apparato digerente. La presenza di microplastiche nell’acqua ha anche effetti estremamente negativi sulla catena alimentare marina; le minuscole particelle di rifiuti ingerite dai pesci e dalle altre creature si accumulano nei loro tessuti e, una volta che i predatori consumano le loro prede, si crea un fenomeno di bioaccumulazione di plastica e altri contaminanti che vanno a danneggiare l’intera catena alimentare.
A questi enormi problemi ha provato a porre rimedio la fondazione Ocean Cleanup, fondata nel 2013 da Boyan Slat, che è impegnata nello sviluppo di tecnologie che consentono di estrarre gli inquinamenti plastici presenti negli oceani. Il sistema creato da Slat, denominato System 03, consiste in una sorta di galleggiante a forma di U attorno a cui navigano le navi impegnate nell’estrazione della plastica. Una volta rimossa, la plastica viene stipata a bordo e poi trasportata sulla terraferma. Lo scorso anno, sui social media, la fondazione ha annunciato di aver terminato il suo primo viaggio nell’Oceano Pacifico e di aver recuperato oltre 45 tonnellate di plastica. Il Sistema 03, al contrario del suo predecessore, il Sistema 02, consente di raggiungere i quattro metri di profondità permettendo di raccogliere più rifiuti all’interno della stessa zona. Sebbene queste iniziative siano virtuose e vadano giustamente elogiate, il problema nella plastica negli oceani rappresenta una sfida epocale per la conservazione della biodiversità. Appare necessario un intervento su larga scala che miri a ridurre considerevolmente la produzione e l’utilizzo di materiali inquinanti, prevenga disastri di questo tipo e ne impedisca il peggioramento. È essenziale che gli Stati firmatari delle numerose convenzioni internazionali a tutela dell’ambiente, come l’Accordo di Parigi o la Convenzione UNESCO per l’ambiente e la biodiversità, rispettino i loro obblighi e si impegnino in maniera concreta nella conversione sostenibile dei loro sistemi di produzione.
Specifiche foto:
Titolo: uccello bianco e grigio sull’acqua durante il giorno
Autore: Tim Mossholder
Licenza: Unsplash
Link: https://unsplash.com/it/foto/qq-8dpdlBsY
Foto modificata
Titolo: poisson brun et noir dans l’eau
Autore: Naja Bertolt Jensen
Licenza: Unsplash
link: https://unsplash.com/it/foto/Jk1ESCc5i-I
Foto modificata
Pesce marrone e nero in acqua – Foto: Naja Bertolt Jensen, licenza: Unsplash