Plastica in mare – Foto: Lucia Montanaro
La recente e sconvolgente scoperta di microplastiche nella placenta umana ha riaperto la discussione sull’inquinamento ambientale
In un recente articolo abbiamo spiegato come i sempre più numerosi eventi climatici violenti, che provocano mareggiate come quella che a fine 2020 a Napoli ha distrutto l’arco borbonico e numerosi esercizi commerciali su via Partenope, non siano frutto di un caso, bensì della devastante azione inquinante dell’uomo sull’ambiente. Chiudemmo l’articolo dicendo che avremmo approfondito il discorso sulla plastica in un secondo momento, ed eccoci qui. Partiamo dalla sconvolgente novità riportata nel sottotitolo: a dicembre 2020 fu diffusa la notizia che una ricerca scientifica effettuata dall’Ospedale Fatebenefratelli di Roma e dal Politecnico delle Marche, aveva riscontrato la presenza di microplastiche nella placenta umana. “Con la presenza di plastica nel corpo viene turbato il sistema immunitario che riconosce come ‘self’ (se stesso) anche ciò che non è organico. È come avere un bimbo cyborg: non più composto solo da cellule umane, ma misto tra entità biologica e entità inorganiche. Le madri sono rimaste scioccate” commentò Antonio Ragusa, primo autore dello studio e direttore UOC Ostetricia e Ginecologia Fatebenefratelli. I frammenti ritrovati sono stati 12 tra i 5 e i 10 micron: 5 nella parte della placenta attaccata al feto, e che costituisce parte integrante di esso, quattro nella parte attaccata all’utero materno e tre nelle membrane che avvolgono il feto. Non si conoscono ancora i rischi per la salute dei bambini che nascono con microplastiche nel loro corpo, né si è certi di come esse entrino nell’organismo umano, anche se appare evidente che abbiano sole due strade: l’apparato respiratorio e l’alimentazione. Considerando che nel Mare del Nord sono state ritrovate numerose plastiche nelle interiora di uccelli marini morti e nei pesci (che poi noi mangiamo), non è difficile immaginare come sia finita nella placenta umana.
Plastica in mare – foto: Tim Mossholder, licenza: Unsplash
Ma quanto inquiniamo solo con le plastiche (perché sono tante e diverse)? A che punto siamo con la raccolta differenziata e cosa si può fare ancora per cercare di evitare che i nostri figli diventino cyborg plastificati?
Una legge europea ha fissato nel 65% lo standard minimo di raccolta della plastica. In Campania si è notevolmente incrementata la raccolta differenziata passando dal 41% del 2012 al 52,7% del 2018, con punte di eccellenza nel comune di Ottaviano, dove nel 2019 è stato raggiunto l’83,97% di cui il 68,8% riciclato. Napoli, nello stesso anno, si è fermata al 36,23% di raccolta differenziata, di cui il 27,4% riciclata (Fonte: Osservatorio Regionale sulla Gestione dei Rifiuti in Campania http://orr.regione.campania.it/). A Napoli, nel 2018, sono stati prodotti rifiuti in plastica per un totale di 16.351 tonnellate. Riuscite a immaginare quanta se ne produce nel mondo? Forse no, ma qualcuno ha calcolato che ogni singolo individuo produce mediamente 45kg di rifiuti plastici l’anno. E dove finiscono quelli che non vengono riciclati e che, purtroppo, sono la parte maggiore? Quasi tutti nel mare. Per darvi un’idea, dal 1950 a oggi sono stati prodotti circa 6 miliardi di tonnellate di rifiuti plastici, di cui solo 1 miliardo riciclato o incenerito, il resto è finito nell’ambiente. Ogni anno finiscono in mare 10 tonnellate di plastica e, secondo uno studio, 4 miliardi di fibre di plastica sono sui fondali marini e, purtroppo, sono in continuo aumento. Tutta questa plastica, trasportata dalle correnti marine, ha formato la tristemente nota ‘isola di plastica’ nel Pacifico, la cui dimensione è superiore alla superfice delle Filippine e, cosa ancora peggiore, se ne stanno formando altre nell’Atlantico. Ma, per restare più vicini a noi, sappiate che il 75% dei rifiuti marini depositati sui fondali italiani è plastica. Restringiamo ulteriormente il campo: un’indagine di Legambiente del 2019, elaborata durante l’operazione di pulizia dei litorali italiani, ha rilevato che su 29 spiagge della Campania monitorate, sono stati raccolti 18.744 rifiuti spiaggiati, di cui l’83% era plastica, e in alcune spiagge ha raggiunto picchi di oltre il 90%. Praticamente, ogni 100 metri di spiaggia sono state raccolte 30 stoviglie e 43 bottiglie di plastica. Ora dovrebbe esservi più chiaro comprendere come le microplastiche finiscano nei pesci e in altri animali marini, per poi finire nella placenta umana.
Plastica in mare – Foto: Naja Bertolt Jensen, licenza: Unsplash
Ovviamente, a questo punto, viene naturale chiedersi cosa si può fare per cercare di migliorare le cose. Già da diversi anni le tradizionali buste della spesa sono state sostituite da quelle in plastica biodegradabile. È un passo avanti, ma piccolo, dato che devono essere trattate in appositi impianti affinché il loro impatto ambientale sia davvero minimo e, inoltre, il costo di produzione è ancora relativamente alto. Nel 2016 dei ricercatori giapponesi hanno annunciato di aver scoperto un batterio capace di nutrirsi di polietilene e si pensa di crearne di nuovi capaci di nutrirsi di altre plastiche. Il problema è che nessuno sa quanto potrebbe essere difficile gestire una tale massa di microorganismi. Restando in Italia, all’Istituto Italiano di Tecnologia hanno trovato un modo per trasformare gli scarti dei mercati di frutta e verdura in plastica biologica. Da 1kg di vegetale secco si crea 1 kg di plastica perfettamente biologica e biodegradabile. Attualmente stanno studiando come produrne da altri materiali biodegradabili di origine naturale, in questo caso animale, come la cheratina della lana o delle piume e la fibroina della seta. È una buona strada da seguire, sebbene ancora ‘giovane’ e con dei limiti. Insomma, considerando che per il degrado naturale di un oggetto di plastica come una bottiglia occorrono mille anni, la via più semplice attualmente disponibile è la raccolta differenziata. Oltre, ovviamente, a cercare sempre di utilizzare meno plastica possibile e non gettarla mai nell’ambiente, ma sempre negli appositi raccoglitori di rifiuti differenziati.
Specifiche foto:
Titolo: uccello bianco e grigio sull’acqua durante il giorno
Autore: Tim Mossholder
Licenza: Unsplash
Link: https://unsplash.com/it/foto/qq-8dpdlBsY
Foto modificata
Titolo: poisson brun et noir dans l’eau
Autore: Naja Bertolt Jensen
Licenza: Unsplash
link: https://unsplash.com/it/foto/Jk1ESCc5i-I
Foto modificata
[…] un precedente articolo abbiamo già accennato al fenomeno crescente delle isole di plastica che preoccupa sempre di più la comunità scientifica. Queste “isole”, che in realtà sono veri […]