Piazza Dante – Foto: Giorgio Manusakis
Nella storica piazza Dante di Napoli, un piccolo monumento a memoria di un grande personaggio della storia di questa città.
Chi sceglie di visitare a fondo la città di Napoli deve indossare scarpe comode e vestire la curiosità dell’esploratore che cerca in ogni angolo tesori nascosti da portare alla luce. Al turista frettoloso basta conoscere per sommi capi una città che è tanto ricca di storia con la ‘s’ maiuscola, ma che in realtà ha molto di più da raccontare. Sono storie di uomini e donne che hanno lasciato tracce importanti che il tempo sembra aver cancellato, ma che hanno contribuito a rendere grande questa terra regalando sogni all’umanità intera. Allo stesso napoletano che, preso dalla routine quotidiana, si muove frettolosamente tra le strade trafficate e le piazze storiche, spesso sfuggono dettagli importanti che appartengono alle radici di questo popolo e che danno contezza di tratti caratteriali e umani importanti quali accoglienza, empatia, compassione e senso di giustizia.
E allora vi porto nella storica e conosciutissima piazza Dante per raccontarvi una di queste storie che, come vedrete, è solo apparentemente marginale rispetto all’imponente contesto in cui è inserita.
Ciò che, quasi sicuramente, tutti riconosciamo in questa piazza è il settecentesco Foro Carolino, realizzato per celebrare il sovrano Carlo di Borbone su progetto dell’architetto Luigi Vanvitelli. Il suo imponente emiciclo, tangente le mura aragonesi, sorse nella grande piazza del Mercatello, così detta perché sede di uno dei due mercati della città, differenziandosi, con il diminutivo ‘mercatello’, da quello più grande ed antico di piazza del Mercato.
Piazza Dante – Foto: Giorgio Manusakis
Le due caratteristiche ali ricurve che abbracciano la piazza sono sormontate da ventisei statue rappresentanti le virtù di Carlo (tre sono del celebre scultore Giuseppe Sanmartino, le altre di scultori carraresi), mentre al centro vi è una nicchia, che avrebbe dovuto ospitare una statua equestre del sovrano, evidentemente mai realizzata, oltre a un torrino d’orologio, di epoca successiva.
Dal 1843, attraverso la nicchia centrale si accede al convitto dei gesuiti, ospitato nei locali dell’antico convento di San Sebastiano poi divenuto, dal 1861, come lo è ancor oggi, Convitto nazionale Vittorio Emanuele II.
Il Convitto nazionale Vittorio Emanuele – Foto: Giorgio Manusakis
Sulla sinistra dell’emiciclo si ammira Port’Alba, una delle porte seicentesche più belle d’Europa, che prende il nome da don Antonio Álvarez de Toledo, duca d’Alba, viceré spagnolo che la fece erigere nel 1625, aperta, lungo le antiche mura angioine, per consentire il passaggio della popolazione da una zona all’altra della città e verso il borgo dell’Avvocata che si stava rapidamente ingrandendo.
Port’Alba – Foto: Giorgio Manusakis
Il nome attuale della piazza è evidentemente scaturito dalla statua del sommo poeta Dante Alighieri che campeggia al centro, opera degli scultori Tito Angelini e Tommaso Solari, inaugurata il 13 luglio 1871.
Questo è ciò che tutti, per sommi capi, conosciamo; ma basta spostarsi di qualche decina di metri in direzione di via Pessina, verso il Museo Nazionale, per incontrare dei piccoli giardini in mezzo ai quali vi è un monumento dedicato a Domenico Martuscelli. È proprio questa la storia e il personaggio di cui voglio parlarvi. Domenico Martuscelli nacque a Napoli nel 1834, il padre era regio maestro di calligrafia presso la real casa dei Borbone e fu insegnante anche di Francesco II. Il piccolo Domenico fu da subito affascinato dal lavoro del padre, che in tal modo lasciò un segno indelebile su quanto farà da grande il figlio. A soli quattordici anni rimase orfano di entrambi i genitori e il Re Ferdinando II, cresciuto anch’egli con gli insegnamenti del padre del ragazzo, si preoccupò di dargli un impiego presso il ministero delle finanze.
Il monumento a Martuscelli – Foto: Matilde di Muro
Ma il giovane Martuscelli non smise mai di coltivare il suo sogno di combattere l’analfabetismo e divenne, così, un insegnante di scrittura e, segretamente, continuò a studiare per poterlo fare. Inoltre mostrò una naturale propensione per le attività caritatevoli nei confronti dei più bisognosi, motivo che lo spingeva a recarsi spesso presso l’ospizio dei Santi Giuseppe e Lucia per insegnare la scrittura ai meno abbienti. Fu qui che conobbe numerosi ciechi, persone che, all’epoca, vivevano in condizioni disumane, spesso abbandonate a se stesse anche dagli ordini religiosi e dalle opere pie laiche, perché considerate nefaste e alla stessa stregua dei pazzi.
Crebbe, così, nel cuore di Domenico Martuscelli un sogno: quello di provare a regalare ai non vedenti una educazione tale da dar loro un futuro e una vita sociale ‘normale’, frequentando la scuola come i loro coetanei ‘sani’. A tal proposito egli affermava: “Se gli occhi non vedono, la mente può sempre sognare”.
Incominciò, così, la sua personale battaglia contro le leggi che non permettevano tutto questo e, tra mille vicissitudini, dovette attendere il suo quarantesimo compleanno per vedere la prima vittoria: nel 1873 Domenico Martuscelli tenne la prima lezione di scuola elementare per bambini ciechi all’interno di un luogo abbandonato, l’ex convento S. Maria di Caravaggio sito a piazza Dante, proprio di fronte al Foro Carolino, e fu un primato in tutta Italia. Nacque l’Istituto Principe di Napoli pei giovani ciechi che, di fatto, fu il primo organo assistenziale, nel giovane stato italiano, per gli ‘ultimi’ della città di Napoli e non solo.
I corsi di studi attivati, oltre alla formazione scolastica, avevano anche finalità pratiche per l’inserimento sociale degli ipovedenti attraverso l’acquisizione di abilità professionali adatte alla specifica disabilità e per l’inserimento di entrambi i sessi nel mondo dell’artigianato, per la lavorazione della ceramica, la legatoria e accordamento degli strumenti musicali.
Il busto della scultura – Foto: Matilde di Muro
Ma il sogno di Domenico Martuscelli andò oltre sino ad ottenere, nel 1885, l’approvazione affinché i bambini non-vedenti potessero frequentare tutte le scuole pubbliche del Regno d’Italia e, successivamente, a poter essere ammessi anche agli insegnamenti musicali.
L’istituto, che oggi porta il nome del suo fondatore, con la morte di Martuscelli, trovò una diversa e più ampia ubicazione presso le stalle dell’ex villa Ricciardi sita in via Cilea, nel quartiere Vomero e, purtroppo attualmente è in uno stato di abbandono e quasi completamente dismesso.
Ma è più che doveroso conservare la memoria di questo primato glorioso e nobile nato dal sogno del suo fondatore, di cui oggi se ne fa memoria grazie ad un piccolo monumento posto nei giardinetti di piazza Dante e che chiede ai passanti frettolosi e distratti attenzione e riconoscimento.
Il monumento in questione fu realizzato nel 1922 dall’artista Luigi De Luca, altro figlio illustre della bella Napoli: formatosi presso l’Istituto di Belle Arti di Napoli, dal 1907 fu maestro di scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli.
È un manufatto marmoreo composto da un basamento parallelepipedo recante, sul lato frontale, un’iscrizione dedicatoria commemorativa che recita: “L’Istituto Principe di Napoli per giovani ciechi a Domenico Martuscelli nel Primo cinquantenario della sua fondazione MCMXXIII (1923)”
Il basamento con l’iscrizione – Foto: Matilde di Muro
Alla base segue un pilastro, a base quadrata, a sostegno del busto-ritratto di Domenico Martuscelli che, con espressione accigliata e concentrata, sembra volgere lo sguardo all’edificio di fronte al quale è posto e che di fatto fu la prima sede in cui operò: l’ex-convento Santa Maria di Caravaggio che divenne l’Istituto Principe di Napoli.
I bassorilievi sui pilastri – Foto: Matilde di Muro
Il suddetto pilastro è scolpito, su ciascun lato, con immagini in bassorilievo che raccontano proprio del sogno di Martuscelli per il riscatto sociale dei piccoli ipovedenti. Nella parte frontale l’immagine sembra evocare il nobile concetto di cooperazione attraverso due bambini ciechi abbracciati: una bimba con lo sguardo rivolto verso l’alto, quasi sognante, che sembra proteggere, cingendolo per le spalle, un bimbo più piccolo col capo chino. Nella parte opposta vi è un giovane cieco dedito al lavoro di artigiano in omaggio al sogno di Martuscielli di integrare e avviare i ragazzi ipovedenti alla vita lavorativa. Nelle parti laterali, invece, vediamo da un lato un bimbo con dei libri tra le mani a simboleggiare l’alfabetizzazione degli ipovedenti promossa da Martuscelli e, dall’altro, una giovane ragazza che suona l’arpa a memoria della possibilità offerta loro di frequentare il Conservatorio musicale.
I bassorilievi sui pilastri – Foto: Matilde di Muro
Ebbene, abbiamo semplicemente posato lo sguardo su uno dei figli che hanno reso grande la città di Napoli e portato avanti la vocazione più importante di tutte: quella umana. Dal buio alla luce, Domenico Martuscelli, l’Istituto per l’assistenza alla disabilità visiva e un monumento tra i tanti da conoscere e non dimenticare.
Ottimo intervento, che vale a mettere in rilievo le capacità espressive dell’arte nel riuscire a fornire testimonianza storica e memoria di comunità. Grazie Matilde. Rosario Pinto