Riproduzione plastica nel parco Miniatürk di Istanbul – Licenza: Wikimedia Commons
Tra le cosiddette ‘sette meraviglie del mondo antico’ la tradizione letteraria include il Tempio di Artemide di Efeso, importante città greca dell’Asia Minore. Tale area geografica, identificabile con la penisola anatolica, in Turchia, fu contraddistinta da una grande prosperità sul piano economico e culturale
L’Artemision efesino nelle fonti letterarie
La notorietà del Tempio di Artemide di Efeso è comprovata dalla gran quantità di fonti che lo descrivono o quantomeno lo menzionano. Secondo un mito ricordato dai poeti Pindaro e Callimaco, l’edificio sacro sarebbe stato fondato dalle Amazzoni, popolazione di donne guerriere che si sarebbero trasferite in Asia Minore provenendo dalla zona del Caucaso.
Se Pausania, nella sua Periegesi della Grecia, si limita a rilevare la notevole antichità del tempio ed Erodoto menziona la donazione di colonne da parte del re della Lidia, Creso, Plinio il Vecchio, invece, è l’autore che riporta un maggior numero di informazioni su di esso. Secondo quanto scritto nella sua Naturalis Historia, l’edificio sarebbe stato costruito nel giro di 120 anni grazie ad una grande colletta alla quale aderirono 127 città, tante quante erano le colonne presenti al suo interno. Inoltre, il testo pliniano indica il nome dell’architetto che avrebbe progettato tale meraviglia, ossia Chersifrone di Cnosso, il quale avrebbe ricevuto l’aiuto del figlio Metagene e scritto insieme a lui un trattato riguardante l’opera. Secondo un’altra fonte, rappresentata da Diogene Laerzio, anche Teodoro di Samo, la cui fama era collegata alla costruzione di un santuario di Hera presso la sua isola d’origine, avrebbe collaborato alla realizzazione dei lavori.
Sfortunatamente, il tempio efesino fu distrutto da un incendio divampato nel 356 a.C. a causa di un esaltato di nome Erostato. Alessandro Magno, che visitò l’edificio ancora in rovine, propose di ricostruirlo mediante una nuova grande questua. Tuttavia, furono necessari alcuni decenni perché l’opera si completasse.
La distruzione definitiva del tempio sarebbe avvenuta nell’arco temporale compreso tra due eventi: prima, con l’invasione dei Goti, nel 263 d.C.; poi, con l’abbattimento da parte dei Cristiani, nel 401 d.C., i quali depredarono molte colonne per poi riutilizzarle nelle chiese di S. Giovanni ad Efeso e di S. Sofia a Costantinopoli.
Le varie fasi edilizie del tempio
Il Tempio di Artemide di Efeso è stato oggetto di diverse campagne di scavo a partire dal 1869 sino agli anni Novanta del secolo scorso. I risultati emersi sinora hanno permesso di constatare come l’area in cui venne costruito fosse stata già interessata da una funzione di culto in un’epoca compresa tra la fine dell’XI secolo e gli inizi del IX secolo a.C. In questo periodo, tuttavia, non si può ancora parlare dell’esistenza di un vero e proprio edificio ma forse solo di un temenos, cioè un recinto sacro all’interno del quale venivano praticati riti e sacrifici.
Tra il 750 ed il 650 a.C. è possibile ipotizzare la costruzione di un primo edificio periptero, ovvero munito di colonne lungo tutti e quattro i lati ed avente una cella. A questa fase costruttiva, detta del naos 1 o tempio A, ne seguì un’altra di ristrutturazione, cosiddetta del naos 2 o del tempio B, databile nella seconda metà del VII secolo a.C. Sul finire di questo periodo, il tempio sarebbe stato interessato da due ulteriori interventi che ne modificarono l’aspetto in virtù della rimozione della copertura e del colonnato esterno. Soltanto la cella, forse, avrebbe avuto una sorta di baldacchino per coprire la statua di culto.
Intorno al 575 a.C., in concomitanza con la costruzione di un limitrofo altare e mediante il generoso contributo del sovrano Creso, il tempio sarebbe stato ricostruito in forma monumentale. Tra le principali caratteristiche vanno ricordate la sua configurazione diptera, ovvero contraddistinta da una doppia fila di colonne disposte intorno al naos, e la connotazione a doppio gradino del crepidoma, cioè il basamento su cui si fonda l’alzato. Altri elementi evidenziati dagli studi archeologici sono la facciata principale ottastila, ossia composta da 8 colonne ioniche decorate con rosette nelle volute e da un kyma lesbio (motivo con foglie) in corrispondenza delle basi, e la facciata posteriore enneastila, cioè formata da 9 colonne, mentre 20 o 21 dovevano caratterizzare i lati lunghi. Ulteriore imponenza era conferita, inoltre, dalla divisione del pronao (l’ambiente prospiciente l’ingresso del naos) in tre navate risultanti da due serie di quattro colonne. Diversi frammenti a rilievo, scoperti durante le campagne di scavo e raffiguranti scene di processione, dovrebbero appartenere non solo ai rocchi inferiori delle colonne ma anche ad un fregio collocato lungo la zoccolatura inferiore dei muri della cella oppure nella trabeazione, parte della struttura scarsamente documentata dalle ricerche archeologiche.
La ricostruzione successiva all’incendio di Erostato avrebbe comportato un ulteriore innalzamento del piano d’imposta dell’alzato nonché l’aggiunta di un colonnato sul retro del vano in cui era posizionata la statua di culto. Anche in questa fase, alcuni rocchi delle colonne presentavano decorazioni figurate: uno di essi, oggi custodito al British Museum, sarebbe stato realizzato dal celebre Skopas, scultore che prese parte ai lavori di un’altra ‘meraviglia del mondo antico’ costituita dal Mausoleo di Alicarnasso. Inoltre, considerando le raffigurazioni presenti su alcune monete tardo-antiche, i frontoni non sarebbero stati chiusi all’altezza del vertice centrale. L’applicazione di tale espediente potrebbe trovare giustificazione nell’intento di non appesantire eccessivamente le strutture inferiori portanti.
Infine, dell’originale statua di culto del tempio, l’Artemide Efesia, non sono emersi resti dagli scavi effettuati nel santuario. Fortunatamente, è possibile avere un’idea del suo meraviglioso aspetto attraverso riproduzioni su monete di età ellenistica nonché mediante alcune copie, una delle quali, databile nel II secolo d.C. e rinvenuta nella Villa Adriana di Tivoli, è conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Specifiche foto titolo:
Titolo: Miniaturk 009
Autore: Di Zee Prime at cs.wikipedia, CC BY-SA 3.0,
Licenza: Wikimedia Commons
Link: https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6347027
Foto modificata
L’Artemide Efesia esposta al MANN di Napoli – Foto: Giorgio Manusakis