Nella più prestigiosa galleria d’arte sacra di Napoli, dove in uno spazio di circa 3000 mq sono esposte permanentemente tavole, tele, affreschi, sculture, ori e argenti che descrivono i più significativi temi della fede vissuta e manifestata nella chiesa di Napoli tra medioevo e barocco, su concessione del ministro della cultura giunge, da Le Gallerie degli Uffizi, un’opera a dir poco straordinaria: l’Adorazione dei Magi di Sandro Botticelli. L’esposizione, apertasi lo scorso 30 novembre e visitabile sino al 31 gennaio 2024, è stata allestita sulla parete principale del seicentesco coro delle monache, cioè in quello che è da ritenersi il cuore del complesso monumentale di Donnaregina Nuova e che, prima degli importanti restauri avvenuti nel 1928, comunicava direttamente con la trecentesca chiesa di Donnaregina Vecchia.

Siamo di fronte ad un dipinto a tempera su tavola di forma leggermente rettangolare, grande poco più di un metro per lato, realizzato nel 1475 da quello che è stato considerato l’artista “mistico del bello ideale”: Botticelli.

Il tema è quello dell’adorazione dei Magi, frequentemente rappresentato dai pittori fiorentini nel corso del XV secolo poiché descriveva un tradizionale evento, una sorta di rito: un corteo semi liturgico, detto “Cavalcata dei Magi” che, a partire dal 1400, ogni anno percorreva le vie della città di Firenze in occasione dell’Epifania. Promotori di questa tradizione erano i componenti di una confraternita laica intitolata ai Magi e l’evento consisteva in una sontuosa cavalcata formata da tre cortei che partivano da punti diversi della città e si riunivano al Battistero per procedere insieme verso San Marco. La confraternita era nota anche con il nome di “Compagnia della Stella” e l’emblema scelto era, appunto, una stella a sei punte che ricorda la cometa seguita dai Magi. Di fatto i componenti della famiglia Medici furono fra i principali membri della confraternita insieme ai loro più fedeli sostenitori e il sontuoso corteo diventava un’ottima occasione per mostrare la loro ricchezza e il loro potere politico-mecenatesco. Con la cacciata dei Medici da Firenze, nel 1494, anche la cavalcata fu cancellata; ma dal 1997, in coincidenza col VII centenario della fondazione della Cattedrale, il Capitolo e l’Opera di S. Maria del Fiore rievocano ogni anno quest’antica tradizione fiorentina.

Tuttavia, al di là delle storiche tradizioni che hanno probabilmente ispirato l’artista per la realizzazione di questa splendida opera, è noto a tutti il profondo legame intercorso tra Botticelli, la celebre famiglia medicea e Lorenzo il Magnifico in particolare. Pertanto, in quest’opera sono ritratti molti personaggi di spicco della potente dinastia fiorentina sia nelle vesti dei Magi che tra la folla raccolta intorno alla Sacra Famiglia.

Innanzitutto va sottolineato che in quest’opera Botticelli compie una scelta stilistica assolutamente innovativa: cambia il solito impianto scenografico che vedeva, tradizionalmente, la Sacra Famiglia collocata su un lato, di profilo, mentre l’incedere dei Magi, col loro seguito, avveniva dal lato opposto in una sorta di corteo. In questo caso abbiamo una visione prospetticamente centrale della capanna diroccata e rialzata su una roccia; in una sorta di visione piramidale, al vertice vi è la stella che, col suo raggiare, sembra indicare il Bambino tra le braccia della Madre. Alle spalle di Maria vi è Giuseppe in atteggiamento pensoso ma che, allo stesso tempo, sorveglia lo svolgersi degli eventi, mentre la folla di fedeli è disposta in basso, alla base del triangolo prospettico. Si riconosce, in posizione centrale ai piedi del piccolo Gesù, il capostipite dei Medici, Cosimo il Vecchio, uno dei Magi che ha già consegnato il proprio dono ed è intento a baciare i piedi del Bambino. Sulla destra gli altri due Magi che portano i doni, posizionati un gradino più in basso per rispettare l’ordine dinastico; in loro si riconoscono i volti di Giovanni, vestito di bianco, e Piero, vestito di rosso. Sempre sulla destra si individua Giuliano, il committente, e lo stesso Botticelli che indossa una veste gialla e con lo sguardo si rivolge verso lo spettatore. Sul lato opposto, quasi estraneo alla scena e in atteggiamento di aristocratico distacco, si riconosce Lorenzo il Magnifico attorniato dagli amici umanisti tra cui il poeta Poliziano e il filosofo Pico della Mirandola.

Sullo sfondo si intravede un luminoso panorama con rovine di paesaggi classici tipici della cultura figurativa rinascimentale. Ma un dato importante che traspare in quest’opera è quella che fu una componente importante nello stile fiorentino del secondo Quattrocento: l’influenza fiamminga. Nell’età di Lorenzo il Magnifico a Firenze giunse un indiscusso capolavoro quale fu il Trittico Portinari realizzato, per l’omonima famiglia, dall’artista belga Hugo van der Goes e che stimolerà i maestri fiorentini nella resa della luce e nell’attenzione ai dettagli minuziosi e carichi di simbolismo. Si spiegano così quella luce crepuscolare tendente all’oro, l’atmosfera fiabesca, quasi irreale, di cui è permeata l’opera, i paesaggi sullo sfondo, la ricchezza dei particolari e il dato simbolico presente nel pavone, segno di immortalità, che scorgiamo in alto a destra della scena, e negli edifici in rovina posti sullo sfondo a sinistra che alludono al crollo del Tempio di Gerusalemme.

L’aria pensosa e malinconica dei personaggi, tipica dei ritratti dell’artista, oltre che il sapiente uso dei colori e il grande equilibrio di tutta la scena, svelano uno stile inconfondibile e unico nel suo genere nel panorama artistico dell’epoca.

L’opera venne commissionata per Gaspare del Lama, cortigiano dei Medici, e appartiene ad una fase sperimentale del pittore, prima che la sua scrupolosa ricerca artistica lo portasse ad una pittura sempre più staccata dal dato naturale, così come vediamo nelle sue opere più famose dei primi anni Ottanta del Quattrocento: la Primavera, la Nascita di Venere e Pallade e il Centauro.

Sta di fatto che Botticelli è artisticamente considerato un mistico del bello ideale, ma le sue opere vanno ben oltre una ricerca puramente estetica. Certo, di fronte ai suoi capolavori si resta indubbiamente folgorati da tanta bellezza, ma non deve sfuggire lo sforzo fatto dall’artista nel rappresentare le contraddizioni e i conflitti della Firenze medicea. Soprattutto non va sottovalutato il fine morale, etico e conoscitivo dei temi trattati e scaturiti dalle riflessioni di matrice neo-platonica della cerchia di eruditi frequentata dal pittore nella stessa corte medicea.

Botticelli realizzò quest’opera dopo il suo apprendistato presso la bottega del Verrocchio, del quale era stato allievo come lo fu anche Leonardo. In quel contesto avvenne il particolarissimo incontro tra due artisti dalle personalità antitetiche: Botticelli, considerato l’ultimo dei grandi maestri del Quattrocento, e Leonardo, il primo grande ingegno del Cinquecento. Anche Leonardo tratterà un’Adorazione dei Magi a conclusione del suo primo periodo fiorentino, in un’opera rimasta incompiuta e che oggi ci appare come un grandioso abbozzo a monocromo. Basta mettere a confronto queste due opere che trattano lo stesso tema per comprendere il punto di vista totalmente opposto dei due artisti: mentre Leonardo ci restituisce l’esperienza che analizza e racconta come realtà, Botticelli trascende dal fatto reale dell’esperienza e ci comunica l’idea in una fantastica trasposizione storica.

Leonardo da Vinci, ‘Adorazione dei Magi’ (1481-82) – Foto: Angelo Zito

Questa riflessione rende la presenza del capolavoro di Botticelli a Napoli in perfetta armonia con la cultura popolare della città. Infatti ritengo che l’opera di Botticelli, con le dovute differenze legate ad intenti ed epoche tanto diverse, sia, nella sua essenza laica, molto vicina alla rappresentazione settecentesca del presepe napoletano e alla tradizione, giunta sino a noi oggi attraverso le creazioni dei pastori di via San Gregorio Armeno, che vede la nascita di Gesù raccontata come evento che entra a far parte della vita concreta e quotidiana.

L’opera, da poco rientrata nei confini nazionali dopo un vero e proprio viaggio mondiale, tra Stati Uniti e Cina, è stata presentata il 28 novembre, in anteprima rispetto all’esposizione al pubblico, dal ministro della cultura Gennaro Sangiuliano in visita a Napoli per le giornate Unesco. Il membro del governo è stato accolto dal direttore del Museo Diocesano Mons. Adolfo Russo e dal prof. Pierluigi Leone de Castris, curatore della mostra, oltre che dal sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, e dal direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt, che ha consegnato fisicamente l’opera. Nel complesso registriamo come il Museo Diocesano di Napoli, attraverso il veicolo del linguaggio artistico, continui a svolgere un ruolo di diffusione e condivisione di importanti messaggi protagonisti di diverse epoche storiche e in dialogo con le sensibilità contemporanee. Ospitando mostre dedicate a grandi maestri dell’arte come Michelangelo, Leonardo Da Vinci, Rubens, Brueghel, Pinturicchio, Aniello Falcone, Antonello da Messina e Artemisia Gentileschi, questo Museo aiuta Napoli a svolgere una funzione di primo piano al centro del Mediterraneo. Tra i tanti eventi organizzati per le festività natalizie, questo che parla di Epifania e manifestazione è sicuramente da non perdere.

Museo Diocesano di Napoli – Foto: Matilde Di Muro

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