Foto realizzate da BBC – LION TV per il Parco archeologico di Pompei

Sul finire dello scorso mese di giugno ha destato particolare clamore la notizia di un rinvenimento dal Parco Archeologico di Pompei. Nello specifico, si tratta di un affresco parietale venuto alla luce durante alcune ricerche riguardanti una zona pressoché inesplorata della città vesuviana

L’area in questione, secondo lo schema urbanistico introdotto nella seconda metà dell’Ottocento dall’allora direttore degli scavi, Giuseppe Fiorelli, è la Insula 10 della Regio IX, quartiere, quest’ultimo, che si articola tra i decumani rappresentati dalle vie dell’Abbondanza e di Nola. Al di là di una breve campagna di ricerche circoscritta tra il 1888 ed il 1891, tale settore non fu ulteriormente studiato. Soltanto a partire dai primi mesi di quest’anno, la direzione del Parco Archeologico di Pompei ha inteso avviare qui nuove indagini, associando al contempo interventi di risistemazione dei fronti di scavo e di risoluzione di problemi di tipo idrogeologico.  

Come già fu possibile intuire in parte con le prime ricerche di fine Ottocento, nell’Insula 10 si collocano due abitazioni con atrio, costruite nel periodo sannitico di Pompei (III secolo a.C.) ed interessate successivamente, nel corso del I secolo d.C., dalla presenza di impianti produttivi. In una delle due, è stato possibile individuare una lavanderia (fullonica), nell’altra, invece, un panificio.

Proprio da quest’ultimo contesto, che ha già restituito gli scheletri di tre individui (due donne ed un infante di 3-4 anni) e, all’interno di due cubicula (stanze da letto) due affreschi raffiguranti Poseidone e Amimone, in uno, ed Apollo e Dafne, nell’altro, è emerso un ulteriore straordinario ritrovamento. Su una delle pareti situate nelle vicinanze dell’atrio gli archeologi hanno scoperto un pannello ad affresco a fondo nero. Su di esso, al di sopra di una coppia di mensole si può riconoscere un grande vassoio d’argento, sul quale sono poggiati un calice colmo di vino, somigliante ad una kylix ad alto piede; alcuni frutti, sia freschi, come un melograno, un fico e datteri, sia secchi; infine, sulla sinistra, un particolare oggetto di forma circolare sul quale sono posizionati altri frutti, alcuni di questi secchi e sbriciolati. Proprio su questa peculiarissima immagine si è concentrata l’attenzione degli scopritori e dei mass media.  

Il gran clamore per un’immagine assomigliante ad una pizza

A prima vista, infatti, in virtù della forma e dei colori usati, questo oggetto potrebbe assomigliare ad una pizza. In realtà, tale prodotto della cucina napoletana, tenendo presente anche quelli che sono i suoi tipici elementi, come il pomodoro e la mozzarella, non sarebbe mai potuto già esistere in un’epoca così remota. Le prime menzioni scritte della parola ‘pizza’, tra l’altro, a partire dal X secolo e sino al Cinquecento, non fanno riferimento al noto piatto partenopeo bensì a pani perlopiù schiacciati. In effetti, è lecito parlare, solo dal Seicento, dell’esistenza di una pizza napoletana, condita con strutto, basilico e formaggio, talvolta con piccoli pesci chiamati in dialetto cicinielli, ma senza il pomodoro. Tale ingrediente, secondo quanto scrive il cuoco Vincenzo Corrado, sarebbe stato introdotto solo nella prima metà del Settecento mentre la mozzarella avrebbe fatto la sua comparsa successivamente, prima della nascita ufficiale della ‘Margherita’, in onore della regina d’Italia, moglie di Umberto I di Savoia, secondo un resoconto di Francesco De Bourcard del 1858.

Una focaccia tra i ‘doni ospitali’

Ritornando al singolare oggetto raffigurato nel quadretto recentemente emerso nella casa dell’insula 10, l’idea proposta dal direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, e dall’archeologo Alessandro Russo è che possa trattarsi di una focaccia, simile forse ad una di quelle descritte da Virgilio ai versi 128-136 del VII libro dell’Eneide. In questo passo del poema latino si legge infatti che Enea, il figlio Iulo e altri compagni troiani, giunti ormai stanchi nel Lazio dopo un lunghissimo viaggio, al di sotto di un grande albero prepararono focacce di farro, ponendovi poi sopra di esse alcuni frutti. Tuttavia, secondo quanto scrive Virgilio, la loro fame fu così tanta da indurli non solo a mangiare quei “poveri cibi” (ossia i frutti) ma ad addentare anche quelle stesse focacce che avevano usato come supporto. Tale fatto avrebbe suscitato l’ironia di Iulo il quale avrebbe così esclamato: “Ahimè noi mangiamo anche le nostre mense”.

Zuchtriegel e Russo evidenziano, inoltre, che alcuni puntini ocra e gialli presenti sulla superficie di questa focaccia potrebbero corrispondere ad una riproduzione del moretum, una particolare salsa a base di formaggio, erbe ed aglio tritati di cui si parla in un componimento di circa un centinaio di versi attribuito dalla tradizione letteraria sempre allo stesso Virgilio.

In sostanza, ciò che si può dire per il momento, in merito a quest’altra straordinaria scoperta da Pompei, in attesa di ulteriori dati derivanti dal proseguimento delle ricerche, è che questa focaccia, solo visivamente somigliante ad una pizza, è uno degli elementi di un tipico quadretto riconducibile alla tipologia degli xenia. Con questo termine di origine greca venivano indicati i “doni ospitali”, ossia quei cibi e quelle bevande che i padroni di casa offrivano ai propri ospiti laddove questi ultimi avevano necessità di trattenersi nelle loro dimore per più giorni. Vitruvio, in un passo del suo De Architectura (VI, 7, 4), fornisce un breve elenco di queste prelibatezze, che consistevano in genere in “polli, uova, verdure, frutta e altri prodotti della terra”. Per quanto non menzionati in questo passo, è lecito ipotizzare che anche cibi come pani e focacce fossero inclusi in questo rituale di accoglienza derivante dalla cultura greca. Le prime rappresentazioni di xenia, considerabili, in sostanza, come nature morte, risalirebbero agli inizi dell’età ellenistica (III secolo a.C.) Tuttavia, tale genere di pittura raggiunse il suo maggior successo nel mondo romano a partire dal I secolo a.C. e solamente i centri dell’area vesuviana, tra cui ovviamente la stessa Pompei ed Ercolano, in oltre due secoli e mezzo di scavi ne hanno restituito sinora circa 300 testimonianze.

4 pensiero su “Una sorprendente testimonianza di arte figurativa dall’antica Pompei”
  1. […] Pompei rappresenta sin dal Settecento, quando hanno avuto inizio le prime ricerche sistematiche, una straordinaria miniera di tesori archeologici. Tale considerazione non riguarda solamente il territorio racchiuso all’interno delle sue mura ma anche quello esterno ad esse, che in latino si può definire con l’espressione ager pompeianus. Proprio in tale contesto, la località Civita Giuliana, situata a circa 700 metri dal settore nord-ovest delle fortificazioni dell’antica città, interessata per lungo tempo dallo scavo e dal saccheggio di tombaroli, ha restituito, attraverso scavi iniziati nel 2017 e condotti in sinergia tra il Parco Archeologico di Pompei e la Procura di Torre Annunziata, testimonianze di grande valore. Il sito, in realtà, era stato già minimamente investigato tra il 1907 ed il 1908 allorquando era di proprietà della famiglia Imperiali. Circa il 25% dei reperti venuti alla luce durante tali indagini, in base alla legislazione vigente all’epoca, fu portato all’Antiquarium di Pompei, venendo però distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Il restante 75%, invece, fu venduto dalla stessa famiglia proprietaria del fondo sul mercato antiquario internazionale. […]

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